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Recensione di: Alice - Who Dreamed It? Chi l'ha sognato?
Spettacolo bilingue, un delizioso musical da camera, trasversalmente pensato sia per un pubblico adulto che per ragazzi, in ambo i casi catturati dalla bravura degli interpreti, dalla poesia della messa in scena e dall'effetto sorpresa di quelle piccole magie artigianali, che fanno ancora del teatro una preziosa boite à surprise
 
Chi non conosce la storia di Alice nel Paese delle Meraviglie – evergreen di formazione a partire da fine Ottocento, il cui immaginario è stato poi rafforzato dal film della Walt Disney, a distanza di quasi un secolo? E se il colosso di Hollywood ci ha svezzati con immagini al tecnicolor e con la ridondante fantasia di omuncoli bizzarri, regine tracagnotte e guerrizzanti e gatti a strisce fuxia-vinaccia – di cui resta al fine solo il beffardo sorriso – qui, al contrario, Anna Zapparoli e Mario Borciani ci presentano il tutto nell'eburneo incarnato di un bianco-latte, che ancora sa d'infanzia. Forse è proprio questo candore – quello dei vestiti delle due Alice, con la loro leziosità da brava bambina, o delle cornici dei quadri dalle volute minuziose o dei merletti, che sembrano infiocchettare pure la poltrona buona di casa – quello che cattura il pubblico più giovane, regalandogli uno squarcio su quell'infanzia dorata per come gliene parlano, forse, ancora solo i loro nonni. E a più forte ragione, perciò, disarma i plus agés – perdutamente avvinti entro un ricordo edulcorato dalla patina d'antan.
Già, ma cosa succede, in questo mondo fatato? Intanto una cosa è certa: non c'è regista, adattatore – e, infondo, perfino attore – che non compia una più o meno consapevole opera di dramaturg, intervenendo su un testo. E così i due capostipiti de La Dual Band qui agiscono in modo preciso e coerente con quella che è la scelta cromatica di costumi e coreografia. Nessuna strillante Regina di Cuori – il cui clamore scarlatto sarebbe forse risultato inappropriato. Protagonisti sono invece l'adolescente Alice e l'oscuro narratore: l'una splendidamente rappresentata nella sua anima doppia di bambina – «di sette anni e mezzo» come puntualizza: da 'bambina', appunto – e già ragazza, nella sua proiezione di voler diventare, un giorno, regina; l'altro come una sorta di 'uomo nero' – nonostante il prezioso ghirigoro dorato a ingentilire la lunga veste da camera. Tre, gli attori in scena, dunque: Benedetta Borciani, Alice 'grande', a duettare in un sottile gioco di alternanze, ma anche di complice contiguità con la sua anima 'bambina', resa sul palco da Benedetta Giammusso, di soli nove anni – «e mezzo», specifica –, ma la cui naturalezza fa quasi scordarne l'effettiva età anagrafica. Coprotagonista è Beniamino Borciani – fratello di Benedetta e come lei figlio di Anna Zapparoli e Mario Borciani – un po' narratore ed un po' gran burattinaio: è lui che sta sognando. E se anche una 'licenza poetica' fa dire che sia il Re Nero, che sta sognando – nell'originale di Lewis Carroll chi sognava, invece, era il Re Rosso –, il messaggio arriva forte e chiaro: attenzione a non svegliare il Re, perché, se lui si svegliasse, Alice svanirebbe. Ecco, forse è proprio questo timore sospeso, quello che fa capolino da quei dettagli così sinistramente corvini e stridenti, all'interno della coreografia immacolata – i nastri di velo, ad esempio, che s'involvono in voluminosi fiocchi sui fianchi delle Alici o le scarpette di velluto scurissimo.
È tutto un gioco 'alla rovescia': fin da quando Alice è entrata nello specchio – e così sembra del tutto naturale – alla Regina Bianca, trasalire per la puntura che si sarebbe procurata solo più tardi, in una logica scardinata, che fa tanto Shakespeare. Ancora una volta si mescolano: Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio –: ipnotica la scena a 'specchio', appunto, di riconoscimento/ammaliamento fra l'autore/uomo nero e Alice, il gioco degli Scacchi e della Dama – per diventare Regina, Alice dovrà percorrere otto step, gli dice l'autore, mostrandoglielo sulla scacchiera: ma è nel gioco della 'dama', appunto, che il conseguimento di quella meta dà diritto ad accedere ad un altro 'status'... E' il viaggio iniziatico dell'adolescente, in biblico fra il bambino che non è più e l'adulto, che non è ancora – forse anche quella bordatura a lutto altro non è che il sentore del commiato all'infanzia? Ma, intanto, la messa in scena non lesina nello sfoggio di tutte quelle magiche consolazioni, che riempiono il cuore e gli occhi dei bambini – incantando il fanciullino che è in ciascuno di noi –: lanterne magiche, ombre cinesi, quadri animati, mimiche corporee e sincronizzate fin all'istante, arie e filastrocche impreziosite dai virtuosismi vocali dei due fratelli Borciani, un tempo voci bianche. E, frattanto, il testo: puntuale, pungente con la sua precisione e il suo humor british, ma che – al contempo – rivela perle di verità: che non importa dove, ma l'importante è andare, se non si abbia già una meta precisa; che siamo tutti un po' 'matti' – cioé 'unconventional people' –; che il pregiudizio genera pregiudizio – così l'unicorno non è meno esterrefatto per l'esistenza della bambina, che credeva essere solo un animale mitologico, di quanto lei non lo sia di lui: e che forse è solo nella fiducia reciproca, che si vince.
«Io crederò in te, se tu crederai in me...» e, ancora: «Guardami e continua a sventolare il fazzoletto, finché mi vedrai svanire all'orizzonte. Così mi darai forza».
Davvero un delizioso tuffo nell'età dell'innocenza. L'alba prima che si svegli il giorno: ma quando ancora si può credere a gatti che sorridono beffardi, brucaliffi e Uova che rivendicano l'importanza di un nome. L'inizio di un viaggio, che spesso abbiamo già fatto, ma che, ripercorso a ritroso, qui, ci si svela con tutta la potente poesia, che l'allestimento e la restituzione attoriale sanno regalarci.
  • Scheda Spettacolo
    Alice - Who Dreamed It? Chi l'ha sognato?
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