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Free Verse meets In Scena!
Nel South Bronx la libertà vigilata è poesia
a cura di Viola Brancatella
Intervista a Dave Johnson che porta poesia e teatro italiano nel centro di libertà vigilata: il 4 e l'8 maggio
Il 4 maggio si terrà il primo appuntamento di Free Verse meets In Scena! nei locali del Probation Center del South Bronx. Gli attori italiani di In Scena! reciteranno parti delle loro pièce teatrali, mentre i poeti del Free Verse reciteranno i loro scritti tradotti in italiano
Il 4 maggio 2017 si terrà il primo appuntamento di Free Verse meets In Scena! al NeON, Probation Center di South Bronx, il centro per la libertà vigilata, dove, per il quinto anno consecutivo, gli artisti italiani arrivati a New York per il festival di teatro In Scena! si esibiranno insieme agli utenti/poeti del centro.


Esperimento nato dalla volontà di portare nelle periferie e nei luoghi ai margini il teatro di qualità, Free Verse meets In Scena! propone al suo pubblico un pomeriggio inedito: gli utenti del centro per la libertà vigilata che seguono il laboratorio di poesia organizzato all’interno della sala d’attesa del centro del South Bronx incontrano gli attori italiani venuti a New York per il festival di teatro In Scena!. Grazie all’aiuto degli attori, gli utenti/poeti traducono le loro poesie in italiano dall’inglese o dallo spagnolo e poi le recitano al microfono, alternandosi alle performance teatrali degli attori.
Un’idea nata all’interno della compagnia teatrale Kairos Italy Theater, dalla volontà di Laura Caparrotti, fondatrice della compagnia teatrale e del Festival In Scena!, e di Dave Johnson, poeta, drammaturgo, docente di poesia alla New York University (NYU) e “operatore poetico” nel Probation Center da alcuni anni. Il laboratorio poetico di Dave Johnson allestito all’interno della sala di attesa del centro per la libertà vigilata, in cui gli utenti devono per forza trascorrere molte ore a settimana, conta ormai diversi anni di attività e pubblica una rivista biennale. Ciò che rende la rivista straordinaria per i lettori e davvero utile per la comunità del quartiere è la varietà dei contributi pubblicati e le diverse forme di scrittura che accoglie. Come recita il nome stesso dell’iniziativa, il verso poetico dominante è libero, cioè non rispetta un numero preciso di sillabe, né tiene conto delle regole poetiche tradizionali: gli utenti, infatti, scelgono spesso la forma poetica, ma anche la canzone, la prosa, il monologo teatrale. E il magazine rispetta la varietà della scrittura, raccogliendo i contributi poetici non solo degli utenti del Probation Center, ma anche dei loro familiari, degli assistenti sociali, delle guardie di sicurezza, degli abitanti del quartiere e di poeti di professione, come Dave Johnson.
Ogni settimana i poeti di Free Verse si incontrano nella sala d’attesa del Probation Center per decantare i loro scritti e talvolta portano l’iniziativa in altri luoghi della città, per coinvolgere più persone possibile. Noi, infatti, li abbiamo incontrati alla Poets House di New York durante un pomeriggio di lettura poetica, nel quale gli utenti del Probation Center e chiunque altro lo volesse hanno preso il microfono e hanno letto le loro poesie. La sala era piena e a turno ognuno si è avvicinato al microfono – Dave Johnson compreso – per leggere la sua poesia, la sua canzone rap, i suoi pensieri in forma scritta, in un’atmosfera di ascolto e di adrenalina tipici di qualsiasi performance artistica. Finito il reading, abbiamo accompagnato Dave alla metro e, tra un semaforo e l’altro, gli abbiamo chiesto di Free Verse e della collaborazione con In Scena!, nell’attesa di prendere parte all’evento del 4 maggio al Probation Center di South Bronx, magari portando una poesia da leggere.



Che cos’è Free Verse e come è nato?
Free Verse è un tipo di workshop che dà voce a persone che normalmente non hanno voce in termini artistici. Quando abbiamo cominciato anni fa, non avevo idea che avremmo continuato, perché il programma era di fare un workshop sperimentale di sei settimane nella sala di attesa del probation center. Poi a un certo punto, gli utenti del centro per la libertà vigilata mi hanno cominciato a dire che gli piaceva fare qualcosa durante l’attesa. Io mi occupo di poesia ed è questo quello che facciamo lì. Per i primi due mesi non sapevo se questo laboratorio di poesia fosse stato capito, a volte mi guardavano come a dire ‘Cosa stai facendo qui?’. Poi ho cominciato a stampare le loro poesie e lì è cambiato qualcosa, perché tutti potevano avere il loro lavoro artistico davanti agli occhi, invece di guardare soltanto la televisione (il meteo o gli altri programmi), e potevano anche leggere ad alta voce i loro lavori. Allora ho proposto di mettere le poesie nella sala d’attesa, nel poem corner (angolo della poesia). Loro erano lì, ad aspettare, come in qualsiasi sala d’attesa del mondo e si annoiavano e il workshop era una buona alternativa alla televisione, perciò hanno cominciato a entusiasmarsi nel vedere i loro lavori appesi al muro”.

Com’è nata l’idea di una rivista di Free Verse?
Io volevo davvero parlare con loro, perché quelle persone erano davvero in difficoltà. Nessuno di loro trovava lavoro, non avevano soldi e dovevano aspettare sempre, per tutto. Allora ho pensato di creare una rivista che potesse remunerarli per il loro lavoro creativo, per quelle cinque ore di scrittura alla settimana. Alcuni di loro ricevono un salario per scrivere sulla rivista, cinque o sei di loro hanno preso questo impegno e continuano a farlo. Così abbiamo pubblicato un libro! Quello che dobbiamo fare noi è creare opportunità e far uscire queste persone dalla mentalità del crimine, attraverso altre attività, perché spesso il crimine è l’unica realtà che conoscono e sono criminalizzati dalla società. Quando succede questo, le persone non si fidano più di nessuno e allora noi dobbiamo restaurare questa fiducia nel prossimo. Io vedo nella poesia una forma di grande empowerment.

Chi sono i poeti di Free Verse?
Io non chiedo mai quali crimini abbiano commesso, ma spesso sono loro a dirmelo. Generalmente, nel 75 per cento dei casi, i crimini commessi sono di matrice economica: persone che non hanno soldi, che commettono crimini per pagare i loro debiti e le spese. È una forma di sopravvivenza per loro. Quello che dobbiamo fare noi è creare delle opportunità. Alcuni di loro non conoscono altro al mondo e non vedono una via di uscita. Dobbiamo instillare in loro un senso di fiducia, il senso di un’alternativa. L’empowerment che cerchiamo di stimolare è a tutto tondo: economico, emotivo, sociale, personale, tramite l’educazione. È chiudere un cerchio e rompere con certe abitudini mentali e guardare fuori, finalmente. Per esempio, c’è questa donna di 32 anni, che è passata da un carcere all’altro e da un probation center all’altro e quando l’ho conosciuta aveva due figlie da mantenere, non era sposata, non aveva lavoro e aspettava nel probation center il suo turno. L’unica realtà che conosceva era quella dell’assistenza sociale. Adesso, anche grazie allo stimolo della poesia, ha finito la scuola ed è al college, si preoccupa delle sue figlie e del loro futuro in modo responsabile. È un ottimo esempio di empowerment e di miglioramento della propria qualità della vita tramite l’impegno artistico.



Qual è la funzione sociale di Free Verse?
Abbiamo dei dati davvero significativi sulla recidività negli ultimi cinque anni: quasi nessuno torna a commettere crimini dopo aver frequentato il laboratorio di Free Verse. Ovviamente questo miglioramento dipende anche da tutto il sistema di assistenza sociale, che fa un ottimo lavoro. Tra gli utenti di Free Verse, oggi abbiamo diverse persone che lavorano a tempo pieno, cui possiamo scrivere lettere di raccomandazione per i prossimi lavori, che continuano a venire agli incontri di Free Verse, a scrivere poesie e tutte le settimane prendono il microfono in mano e leggono le loro poesie. Cinque anni fa non avrei mai immaginato che sarebbe successo tutto questo. All’inizio, quando sono arrivato al probation center, gli utenti erano molto aggressivi tra loro, volevano uccidersi a vicenda, mentre adesso questo non accade più, c’è armonia, sono più uniti, si ascoltano tra loro. A volte hanno solo bisogno di sfogarsi, prendono il microfono e parlano male del sistema, di se stessi, di tutto. E va bene, fa parte del gioco. Ma l’importante è farlo con rispetto, tenendo conto dell’opportunità che stanno avendo di condividere i propri pensieri.

Cosa rappresenta Free Verse per te?
Free Verse, in un certo senso, per me è la possibilità di avere a che fare con persone meno fortunate di me, con cui empatizzo da sempre. Io sono stato abbastanza fortunato ad avere persone intorno a me che mi hanno aiutato fin da piccolo ad andare avanti e a non perdermi, ma so che non capita a tutti. Io vengo da una piccola città del Sud del Paese, non molto ricca, anzi, ma sono riuscito a venire a New York, a pubblicare i miei libri e mi sono successe molte cose positive qui. Sento una forte empatia verso chi sbaglia, qui come altrove, perché capisco alcune necessità degli outsider della società. Quando sono arrivato qui dal mio paese del Sud, avevo un accento diverso e tutti mi guardavano come se fossi un alieno: ci sono stereotipi ovunque e verso tutti, io mi ci sono abituato. Dal mio punto di vista, gli utenti del probation center sono dei sopravvissuti criminalizzati dalla società ed è qui che nasce la possibilità di miglioramento tramite l’arte e la poesia. Generalmente queste persone non hanno ricevuto una buona educazione, non sanno leggere, scrivere o parlare correttamente. Non difendo i criminali e non giustifico le attività illegali, come la mafia, lo spaccio ecc, ovviamente, ma penso che il sistema sociale abbia le sue responsabilità nella criminalizzazione di alcune fasce sociali, perché alcune persone subiscono forti stereotipi da cui non sono in grado di uscire. Perciò il nostro lavoro è cercare di andare oltre questi stereotipi e aiutare ognuno a trovare le sua strada. Per esempio, molti degli utenti del Probation Center abitano vicino al Metropolitan Museum, ma non ci sono mai andati, perché non si muovono dal loro quartiere: quello che dobbiamo fare è aiutarli a superare quei limiti sociali che li bloccano.

Com’è nata la collaborazione con In Scena! e perché ha così successo? Stavo lavorando con Laura [Caparrotti, fondatrice di In Scena! n.d.r.`> all’epoca, lei traduceva alcuni dei miei lavori in italiano e un giorno mi ha chiesto di collaborare con Free Verse. Tutto è partito dal concetto di traduzione: ci siamo detti, perché non mettiamo in contatto alcuni artisti italiani con i poeti di Free Verse tramite la traduzione delle poesie? Da allora tutti aspettano con ansia questo evento e tutti vorrebbero che lo organizzassimo più di una volta l’anno, sia gli utenti che gli attori italiani. La cosa interessante è che nessuno si preoccupa di sapere la storia degli altri, non c’è giudizio, nessuno si conosce e si crea un’atmosfera di familiarità e di condivisione tramite la poesia. Non condividendo lo stesso contesto, gli attori e i poeti di Free Verse si incontrano senza filtri, nella poesia, e questo è fantastico!”


Il successo di queste iniziative testimonia il valore del vostro operato e vi stimola a continuare di anno in anno, immagino.


“Sai, a volte il mio lavoro non è facile, mi stanco molto. Ogni giorno torno a casa e mi dico: sembri stanco oggi, ma qualcosa di bello è successo. Mi ricarico tramite queste esperienze e la poesia mi muove, mi anima, parla al mio io profondo e alla mia energia. La poesia mi dà energia e così fa con tutti gli altri. La poesia dispensa energia!.



Articolo pubblicato su La Voce di New York

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