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Margherita Cagol, dalle montagne del Trentino alle Brigate Rosse
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino mercoledi 24 ottobre 2018
di Angela Demattè

Regia: Carmelo Rifici 

Con Andrea Castelli e Francesca Porrini 

Scene e costumi: Paolo Di Benedetto; musiche: Zeno Gabaglio; luci: Pamela Cantatore; video: Roberto Mucchiut 

Produzione: LuganoInScena, TPE - Teatro Piemonte Europa, CTB - Centro Teatrale Bresciano In coproduzione con LAC - Lugano Arte e Cultura
Da ragazzina di montagna tutta casa e chiesa, negli anni delle scuole inseparabile dalla sua amata chitarra, a studentessa universitaria modello per diventare cellula fondante delle Brigate Rosse: questo il destino di Margherita “Mara” Cagol, figura ai più oggi forse sconosciuta ma simbolo di un’Italia attraversata da moti rivoluzionari e da un desiderio di sovvertimento dell’ordine precostituito. 

Alla sua tormentata esistenza, il cui drammatico epilogo si consuma nel 1975 in uno scontro a fuoco di poco successivo all'evasione del marito Renato Curcio, Angela Demattè ha dedicato Avevo un bel pallone rosso, dialogo agrodolce tra figlia e padre sullo sfondo di un paese in divenire: nella nuova edizione diretta da Carmelo Rifici, la cui regia è con intelligenza indirizzata alla rappresentazione di un incontro-scontro tra due generazioni, si ripercorrono prima gli anni della scuola, poi quelli dell’università con tanto di laurea in sociologia, per arrivare alla discesa in campo in una lotta armata che vede Mara solo in apparenza dietro le quinte, sempre al fianco dell’amato Curcio in un impegno politico vissuto a pieni polmoni. In una scena Anni Settata, con tavolo, scrivania, poltrona e televisore a riprodurre immagini d’epoca, prendono forma cento minuti dell'ininterrotto dialogo tra figlia e padre, tra due opposti mondi di vedere e vivere il presente, ma soprattutto di immaginare il futuro: l’occupazione delle case di Quarto Oggiaro, il rapimento del giudice Sossi, la trattativa con uno Stato di cui si vorrebbe stravolgere la natura, trasformano la chitarrista di un tempo in una cellula impazzita che la bravissima Francesca Porrini rende in tutto il suo carico di disperata e combattiva umanità. Insieme a lei, non meno applaudito, Andrea Castelli è il padre prima curioso, poi deluso, alla fine stanco e malato, ma sempre deciso nel cercare una possibile forma di dialogo con quella figlia da cui lentamente, giorno dopo giorno, sempre più si allontana.
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