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Atti osceni - I tre processi di Oscar Wilde
a cura di Giampiero Raganelli
Visto al Teatro Elfo Puccini il 20/10/2017
di Moisés Kaufman / traduzione Lucio De Capitani / regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia / luci Nando Frigerio suono Giuseppe Marzoli
con Giovanni Franzoni, Ciro Masella, Nicola Stravalaci, Riccardo Buffonini, Giuseppe Lanino, Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D'Agostino, Filippo Quezel 
produzione Teatro dell'Elfo 
Al Teatro Elfo Puccini Sala Shakespeare 20 ottobre - 12 novembre 2017
Atti osceni - I tre processi di Oscar Wilde, il testo di Moisés Kaufman che ripercorre nei dettagli la tormentata vicenda giudiziaria dello scrittore irlandese, rientra nell'interesse che il Teatro dell'Elfo da anni sta portando avanti nei confronti della drammaturgia anglosassone contemporanea, ma anche di un percorso sullo stesso Wilde, che passa per Il fantasma di Canterville, la Salomè e il prossimo allestimento di L'importanza di chiamarsi Ernesto

Quando un testo teatrale si fonda, in maniera così dettagliata e completa, su atti di un processo giudiziario, non si può non lavorare sulla forte analogia tra il linguaggio teatrale e quello processuale. Non contiene tanti elementi teatrali un'udienza o un dibattimento in tribunale? Dove i personaggi indossano costumi, come toghe e quelle parrucche che ancora fino a pochi anni portavano magistrati e avvocati nei tribunali britannici. Non sono come dei monologhi teatrali le arringhe o le sentenze? E in generale il processo non è un rito, una liturgia con la sua pomposità e solennità? Su questa somiglianza hanno lavorato Ferdinando Bruni e Francesco Frongia nel mettere in scena uno pei processi simbolo della Storia, quello a Oscar Wilde condannato per un atto d'amore secondo una mentalità liberticida e ipocrita come quella dell'Inghilterra vittoriana. Laddove la ricostruzione dei processi mostra chiaramente come a essere stata messa sotto accusa sia stata anche l'arte dello scrittore, nella colpa che per i giudici sarebbe stata insita nelle stesse pagine delle sue opere. E tornano in mente tanti casi simili a partire da Pasolini. Ed è evidente anche da questa ricostruzione come Oscar Wilde sia stato il capro espiatorio di una società di estrema ipocrisia, dove la pratica per gli aristocratici di frequentare giovinetti a pagamento era tutt'altro che rara. 

Bruni e Frongia lavorano di teatro povero, lasciando e scarnificando la scena all'essenziale, dominata dal colore nero. Tutti i personaggi sono in abiti neri, a parte i marchettari nel siparietto genettiano e lo stesso Wilde nella prima parte, che indossa abiti chiari. Ma anche lui diventerà nero, sarà omologato nel processo, gli verranno tarpate le ali. Wilde è l'albatro dei Fiori del male. I personaggi sono al contempo anche narratori e tutte le fonti sono citate in ossequio a tutti i punti di vista che sono stati contemplati da Kaufman. 

Bruni e Frongia usano degli elementi scenici con parsimonia, come delle sbarre orizzontali rette da aste a mo' di cavalletto, che possono assumere varie funzioni, da podio a tribuna per chi parla nel processo, o comporsi per assumere il ruolo di sbarre di una cella. E poi degli anacronistici microfoni, che ancora sottolineano la dimensione teatrale. Come teatrale è il richiamo a Shakespeare, usato dallo stesso Wilde per sottolineare l'analogia con la sua condizione, nei sonetti d'amore. È un coup de théâtre nominare a un certo punto la sodomia. E Oscar Wilde, un ottimo Giovanni Franzoni, può volgere lo sguardo al pubblico in sala come a un'ideale giuria di un tribunale della Storia. Con il teatro Ferdinando Bruni, Francesco Frongia e Moisés Kaufman rendono giustizia a un uomo di teatro come Oscar Wilde. 

Qualche voluto eccesso caricaturale, soprattutto nel personaggio del padre dell'amante di Wilde e di giornalisti e testimoni, fanno cadere a tratti lo spettacolo nel farsesco. Ma il crescendo della parte finale è qualcosa di commovente.
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