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Facciamo un passo indietro...insieme a Jurij Ferrini
a cura di Roberto Canavesi
Riceviamo e  pubblichiamo una riflessione-appello rivolta al mondo del teatro, e non solo....
Una "pestilenza" ha fermato il teatro di prosa; per la prima volta da secoli, a mia memoria. 

Ci saranno moltissimi danni nell'immediato e sappiamo che il governo ha pensato ad un sostegno d’emergenza. Bene, certo.

Se però provassimo ad immaginare che questa sciagura possa "trasformare il veleno in medicina", la crisi stessa potrebbe volgersi in una straordinaria opportunità per agire immediatamente e ripensare al Teatro di domani, completamente, nella sua ontologia, nella sua struttura. E ad immaginarlo rilanciando con maggiore ambizione, creando qualcosa di meglio di ciò che è stato fino alla fine di febbraio 2020. L’imbocco di un bivio ha brutalmente accorciato le distanze, così due sole strade possibili si trovano proprio ad un passo da noi. 

Occorre rimettere al centro dell’attività teatrale gli artisti. Tutte quelle donne e uomini che decidono nella propria vita di dedicarsi solo all'arte teatrale, a costo di passarla in moltissimi casi, con difficoltà ormai crescenti e in una continua incertezza; persone sensibili, capaci, creative e a volte fragili, che si espongono sera dopo sera al giudizio di pubblico e critica; persone che vivono solo della bellezza di ciò che sanno realizzare. Con il termine artisti non mi riferisco solo alle attrici e agli attori, ma anche ai tecnici, ai registi, ai drammaturghi, a tutti quei collaboratori che possiedono le competenze che occorrono in palcoscenico per dar vita all'evento teatrale. 

Il palcoscenico è il baricentro esatto del teatro. La ragione per la quale una quota di popolazione si ritrova in un edificio che definiamo Teatro - più o meno ricco, più o meno antico o prestigioso - è quella di presenziare fisicamente ad una funzione laica del proprio bisogno di spiritualità. Il palcoscenico è del resto uno spazio in qualche modo sacro, o più propriamente mistico, dove non tutto è spiegabile, contabilizzabile e regolabile; un luogo nel quale ogni sera può e deve accadere un’azione artistica, unica ed irripetibile, offerta ai convenuti, il pubblico. 

Il palcoscenico è il motivo per il quale si è organizzato - negli anni - un sistema complesso nel nostro paese, un sistema di figure professionali che sanno occuparsi molto bene degli aspetti gestionali, finanziari, amministrativi, burocratici, pubblicitari, di biglietteria, di organizzazione ed incremento del pubblico, di accoglienza, di sicurezza, etc... 

Negli ultimi 15 anni tuttavia l’asse di questo baricentro ha iniziato pericolosamente a spostarsi decisamente verso gli uffici che gestiscono il palcoscenico, verso il management. Questo è anche comprensibile: i soldi hanno iniziato a scarseggiare pericolosamente e si sono dovute accorciare le scritture, si sono ridotti i compensi per il personale a scrittura. Si sono tentate riforme ministeriali come quella del 2014 e alcuni seguenti correttivi, ma il risultato è stato ancor più grave perché i teatri pubblici hanno dovuto adeguarsi al precetto consumistico "usa e getta": un mese di prove, tre settimane di repliche e poi si passa ad altro. Questo ha mortificato ancora di più gli artisti e il loro operato, li ha costretti ad una gara al ribasso per realizzare le loro opere. Li ha impoveriti sempre di più, anche e soprattutto nella loro ispirazione. Tutto questo mentre i contratti di lavoro previsti per il personale impiegato negli uffici o in alcuni reparti tecnici, stabilizzati, erano tutelati, nella maggior parte dei casi con assunzioni a tempo indeterminato.

Era un disequilibrio ormai insostenibile. Il punto di non ritorno era ormai superato. 

Poi la pandemia, la chiusura di tutte le sale. La distanza sociale, seppur in questo momento necessaria, è il nemico più temibile del Teatro

Quella stessa incertezza lavorativa, verso la quale tutti gli artisti avevano sviluppato anticorpi per anni, ha contagiato anche moltissimi validi professionisti che lavorano negli uffici. Quindi ora siamo uniti dallo sgomento, dalla paura. Saremo gli ultimi a tornare alla normalità. Questo lo sappiamo.

Ma se dopo la fine di questa catastrofe, pensiamo di tornare in qualsiasi modo allo status quo, non avremo fatto un solo passo avanti per uscire dalla palude in cui eravamo finiti da moltissimi anni. Cosa possiamo chiedere noi artisti a tutti i livelli istituzionali, alle parti sociali e a chi normalmente viene interpellato ai tavoli di lavoro per affrontare e risolvere la crisi - ormai endemica, storica - del Teatro? 

Possiamo chiedere di partecipare.

Se anche per il Teatro di prosa ci si appoggiasse ad un comitato tecnico-scientifico come avviene per il contenimento dell’epidemia, chi si sognerebbe di lasciar fuori da questo tavolo gli artisti? 

Se c’è una inconfutabile verità in Teatro è che solo chi lavora in (o attorno al) palcoscenico ha contezza di quel che occorre affinché l’evento teatrale funzioni, coinvolga, valga il prezzo del biglietto e possa coinvolgere sempre più pubblico. Ora forse non sono più necessarie, non bastano più, le trattative tra parti sociali per tirare con forza una coperta troppo corta. Ora – che siamo tutti fermi - occorre lasciare ferma la coperta, mollare la presa e collaborare, nel rispetto di tutti i ruoli, artisti compresi, per ripensare l’intero sistema al più presto.

Occorre appunto fare un passo indietro... e iniziare ad ascoltare chi il Teatro lo realizza

Per prima cosa occorre raddoppiare la coperta: la quota parte del FUS riservata annualmente al comparto della prosa. Sono attualmente pochi milioni sul bilancio dello stato: 64, 68... dipende dagli anni. 

Metterne altrettanti è un atto politico che renderebbe davvero onore al governo che si prendesse una responsabilità così piccola in termini economici e così grande in termini culturali, sociali, produttivi.

Questo sarebbe un ottimo punto di partenza: purché il raddoppio delle risorse abbia due qualità: che sia strutturale, ossia ripetibile anno dopo anno e che la nuova parte di FUS venga totalmente vincolata – senza acrobazie di bilancio – alla sola e vera produzione artistica.

Desidero per ora limitarmi a questa sola considerazione, concreta e facilmente condivisibile da chiunque conosca la situazione in cui il Teatro versava prima della chiusura. In seguito potremo costruire una seria agenda di lavoro insieme agli stimati dirigenti e quadri del settore, alle parti sociali, alle istituzioni preposte; tutte figure che hanno enormi capacità di sintesi nella possibile stesura di un nuovo patto sociale per il Teatro di prosa. La novità di questo primo passo sarebbe in fin dei conti quella di riuscire a mettere al riparo, sotto la coperta che si tirava ai tavoli di trattativa tradizionali, finalmente, anche gli artisti; come e quanto i collaboratori più stretti e preziosi.

Tutto questo implica però, a monte, un riconoscimento degli artisti quale categoria atipica della società. Una categoria atipica che produce un bene impalpabile: la bellezza artistica dell’arte teatrale. In tutte le sue forme, nelle varie sensibilità. 

Ed usando il termine artisti non può passare in secondo piano l'idea di artigianalità che da sempre si accompagna al mestiere dell'artista: artigianalità non tanto e non solo nella sua accezione di "derivazione dell'arte", quanto in quella forse più romantica di "prodotto artigianale", diretta emanazione dell'ingegno e dell'impegno di donne e uomini per nulla intimoriti dalla prospettiva di sporcarsi le mani, di mettersi in gioco. Non dobbiamo aver paura di ricordare ed affermare come il nostro impegno, quale che ne sia la sua quotidiana attuazione, affondi le sue radici in un passato fatto di arene all'aperto e di tavole di legno, di piazze, di cortili spogli e di maschere di cuoio, per arrivare ad un presente dove oscure cantine o scomodi garage sono gli improvvisati palcoscenici dove dar vita al nostro artigiano sforzo creativo. 

Chiudo questo accorato appello con una richiesta: chi si sente rappresentato da queste righe le sottoscriva e le faccia circuitare il più possibile. Se saranno condivise da molti artisti ed anche da intere associazioni che già operano da tempo (Facciamo la conta, Cresco... ad esempio), avremo sicuramente qualche possibilità in più di essere ascoltati davvero e di poter collaborare con tutte le parti in causa, offrendo uno sguardo che non parte dalla platea, ma dal fronte opposto: dal palcoscenico.

Noi artisti dobbiamo in questo frangente essere uniti, saggi e allargare le nostre vedute. Occorre però fare presto, muoversi ora, prima della fine di questa crisi; sostenuta comunque da un bilancio d’emergenza. 

Per questo faccio appello alle migliori virtù di ogni singolo individuo, al senso di servizio che i migliori desiderano offrire alla collettività, alla dignità e all'onore che derivano dall'assunzione di responsabilità pubbliche. Sono certo che vi sono già oggi donne e uomini capaci di sintetizzare un progetto di riforma articolato, coerente e duraturo. 

Jurij Ferrini













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