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Con L'Italia s'è desta, i ragli del teatro civile approdano a NY
a cura di Redazione
A New York In Scena! l’11 giugno ci saranno Rosario Mastrota e Dalila Desirée Cozzolino con L’Italia s’è desta, la storia di un’Italia malandata che si risveglia dal torpore grazie al calcio, trait d'union che unisce Nord, Centro e Sud; uno spettacolo che provoca e fa riflettere.
A New York In Scena! l’11 giugno ci saranno Rosario Mastrota e Dalila Desirée Cozzolino con L’Italia s’è desta, la storia di un’Italia malandata che si risveglia dal torpore grazie al calcio, trait d'union che unisce Nord, Centro e Sud; uno spettacolo che provoca e fa riflettere.

Presentato dalla Compagnia Ragli, L’Italia s’è desta è scritto e diretto da Rosario Mastrota con Dalila Desirée Cozzolino, entrambi fondatori della Compagnia e nomi noti sul panorama teatrale che hanno deciso di abbracciare la strada del teatro civile.
La protagonista è Carletta, la scema del paese che assiste al rapimento dei giocatori ed è l’unica a sapere dove la ‘ndrangheta abbia nascosto la squadra; ma per tutti è una povera pazza e nessuno, tra esercito, politica e giornalisti, la prende in considerazione perché impegnato a correre dietro alla notizia bomba dell’assalto mafioso.
Il raglio è un suono evocativo di significati che si disegnano a partire dal rumore, quello su cui la Compagnia intende puntare per portare sotto i riflettori problematiche civili. A spiegare come a La VOCE sono proprio Rosario Mastrota e Dalila Desirée Cozzolino.
Il primo spettacolo di una trilogia di teatro civile che vede la Compagnia Ragli approdare a New York. Nella programmazione del festival In Scena! mercoledì 11 giugno è la volta de L’Italia s’è desta, la storia (provocatoria) di un’Italia alle prese con un risveglio politico-sociale dovuto a un fenomeno ben preciso: il rapimento della nazionale di calcio. Lo scenario che fa da sfondo alla storia è la ‘ndrangheta, che non è un pretesto narrativo, ma un “fulcro drammaturgico importante” su cui riflettere, insieme al problema dell’emarginazione dei deboli e a quello di un apparato mediatico poco fedele alla realtà, tutti elementi che, nella vita vera, rendono ancora oggi lontano un effettivo risveglio dell’Italia.
Come spiegate il significato e il motivo della scelta del titolo dello spettacolo?
Mastrota: Usando la frase più rappresentativa dell’Inno nazionale italiano, raccontiamo, in questa storia, un improvviso risveglio dal torpore di un Italia malandata. L’Italia “si sveglia” quando apprende la notizia del rapimento della Nazionale di calcio (trait d'union indiscusso che unisce Nord, Centro e Sud) e diventa improvvisamente unita. È un titolo provocatorio perché, purtroppo, questa Italia, quella vera, sembra non volersi (o sapersi) svegliare più.
In che modo la mafia si inserisce in questa storia? É solo un pretesto narrativo o questo è uno spettacolo che parla di mafia?
Mastrota: La mafia, o meglio la ‘ndrangheta, non è un pretesto narrativo, ma un fulcro drammaturgico importante. Lo scenario che fa da sfondo alla storia sarebbe impensabile, purtroppo, senza questo elemento. Nello spettacolo si racconta una realtà completamente intrisa di malavita e il personaggio di Carla, nella sua innocenza, ne scopre, in ogni angolo e su ogni volto, la costante presenza.
Definireste questo spettacolo “teatro di impegno civile”?
Cozzolino: Sì. Lo spettacolo si definisce nel panorama del teatro civile in molti sensi. Oltre al tema della ‘ndrangheta, scorrono parallelamente altri due temi: il primo è quello della diversità, dell’emarginazione dei deboli (nel nostro caso una “scema di paese” etichettata come anormale, strana, pazza) e il secondo è l’affresco di un apparato mediatico poco fedele alla realtà, ma solo intento a creare “notizie bomba”.
Ha ancora senso oggi fare teatro antimafia e come?
Cozzolino: La Compagnia Ragli porta avanti e indaga da un po’ di anni il tema della smitizzazione della ‘ndrangheta. Se da un lato esistono spettacoli teatrali o film che esaltano la violenza e l’onnipotenza criminale rendendo eroi i “cattivi”, i nostri spettacoli compiono l’operazione inversa: i “buoni” diventano eroi e, in modo assolutamente delicato, provano a ferire, smitizzando appunto, chi è da condannare e da combattere.
Mastrota: Noi siamo calabresi, cresciuti in realtà pervase, soffocate e assuefatte al baronismo mafioso. La ‘ndrangheta non è più, come spesso l’immaginario collettivo la crede, un gruppetto di briganti con la lupara. La ‘ndrangheta purtroppo è, per citare Gratteri, una malapianta che gestisce un impero, radicata in tutto il mondo. Il nostro intento teatrale e civile è tagliare qualche ramo. Ad oggi la Compagnia ha avuto diversi riconoscimenti ed è seguita da associazioni antimafia, come daSud e Libera.
È la prima volta che portate questo testo a New York?
Mastrota: Sì, è la prima volta e ne siamo felici. Non saremo purtroppo in altre città o paesi americani, ci auguriamo che New York ci apra altre possibilità. Noi siamo pronti.
Perché vi interessa portarlo a New York e cosa rappresenta per voi approdarvi?
Cozzolino: Sono diverse le ragioni: prima di tutto per mostrare il nostro lavoro e la nostra ricerca, sia a livello artistico che civile, ad un pubblico che ha vissuto, o ricorda, la questione mafiosa da un altro punto di vista e che inoltre potrà conoscere e riconoscere tematiche e linguaggi di uno scenario distante (la Calabria), ma allo stesso tempo capace di regalare riflessioni e prese di coscienza con ironia. New York, poi, accoglie una grande comunità di italiani e calabresi ai quali speriamo di poter regalare una finestra sull’Italia. Infine New York rappresenta per la Compagnia un motivo di orgoglio: non è facile mostrare il proprio lavoro all’estero e la Grande Mela sarà il “frutto” che gratifica il nostro progetto artistico.
Pensate che il pubblico newyorchese sarà capace di comprendere e immedesimarsi in una storia così tanto italiana?
Mastrota: Ce lo auguriamo! La storia è italiana nella costruzione, nello scenario e nella dinamica adoperata, ma la tematica è assolutamente internazionale: sia quella ‘ndranghetista, sia quella della discriminazione del diverso che quella di “accusa” alla spettacolarizzazione degli eventi di cui gli americani sono indiscussi maestri.

Articolo di Chiara Zaccherotti, pubblicato suLa Voce di New York

 Come spiegate il significato e il motivo della scelta del titolo dello spettacolo?
Mastrota: Usando la frase più rappresentativa dell’Inno nazionale italiano, raccontiamo, in questa storia, un improvviso risveglio dal torpore di un Italia malandata. L’Italia “si sveglia” quando apprende la notizia del rapimento della Nazionale di calcio (trait d'union indiscusso che unisce Nord, Centro e Sud) e diventa improvvisamente unita. È un titolo provocatorio perché, purtroppo, questa Italia, quella vera, sembra non volersi (o sapersi) svegliare più.
In che modo la mafia si inserisce in questa storia? É solo un pretesto narrativo o questo è uno spettacolo che parla di mafia?
Mastrota: La mafia, o meglio la ‘ndrangheta, non è un pretesto narrativo, ma un fulcro drammaturgico importante. Lo scenario che fa da sfondo alla storia sarebbe impensabile, purtroppo, senza questo elemento. Nello spettacolo si racconta una realtà completamente intrisa di malavita e il personaggio di Carla, nella sua innocenza, ne scopre, in ogni angolo e su ogni volto, la costante presenza.
Definireste questo spettacolo “teatro di impegno civile”?
Cozzolino: Sì. Lo spettacolo si definisce nel panorama del teatro civile in molti sensi. Oltre al tema della ‘ndrangheta, scorrono parallelamente altri due temi: il primo è quello della diversità, dell’emarginazione dei deboli (nel nostro caso una “scema di paese” etichettata come anormale, strana, pazza) e il secondo è l’affresco di un apparato mediatico poco fedele alla realtà, ma solo intento a creare “notizie bomba”.
Ha ancora senso oggi fare teatro antimafia e come?
Cozzolino: La Compagnia Ragli porta avanti e indaga da un po’ di anni il tema della smitizzazione della ‘ndrangheta. Se da un lato esistono spettacoli teatrali o film che esaltano la violenza e l’onnipotenza criminale rendendo eroi i “cattivi”, i nostri spettacoli compiono l’operazione inversa: i “buoni” diventano eroi e, in modo assolutamente delicato, provano a ferire, smitizzando appunto, chi è da condannare e da combattere.
Mastrota: Noi siamo calabresi, cresciuti in realtà pervase, soffocate e assuefatte al baronismo mafioso. La ‘ndrangheta non è più, come spesso l’immaginario collettivo la crede, un gruppetto di briganti con la lupara. La ‘ndrangheta purtroppo è, per citare Gratteri, una malapianta che gestisce un impero, radicata in tutto il mondo. Il nostro intento teatrale e civile è tagliare qualche ramo. Ad oggi la Compagnia ha avuto diversi riconoscimenti ed è seguita da associazioni antimafia, come daSud e Libera.
È la prima volta che portate questo testo a New York?
Mastrota: Sì, è la prima volta e ne siamo felici. Non saremo purtroppo in altre città o paesi americani, ci auguriamo che New York ci apra altre possibilità. Noi siamo pronti.
Perché vi interessa portarlo a New York e cosa rappresenta per voi approdarvi?
Cozzolino: Sono diverse le ragioni: prima di tutto per mostrare il nostro lavoro e la nostra ricerca, sia a livello artistico che civile, ad un pubblico che ha vissuto, o ricorda, la questione mafiosa da un altro punto di vista e che inoltre potrà conoscere e riconoscere tematiche e linguaggi di uno scenario distante (la Calabria), ma allo stesso tempo capace di regalare riflessioni e prese di coscienza con ironia. New York, poi, accoglie una grande comunità di italiani e calabresi ai quali speriamo di poter regalare una finestra sull’Italia. Infine New York rappresenta per la Compagnia un motivo di orgoglio: non è facile mostrare il proprio lavoro all’estero e la Grande Mela sarà il “frutto” che gratifica il nostro progetto artistico.
Pensate che il pubblico newyorchese sarà capace di comprendere e immedesimarsi in una storia così tanto italiana?
Mastrota: Ce lo auguriamo! La storia è italiana nella costruzione, nello scenario e nella dinamica adoperata, ma la tematica è assolutamente internazionale: sia quella ‘ndranghetista, sia quella della discriminazione del diverso che quella di “accusa” alla spettacolarizzazione degli eventi di cui gli americani sono indiscussi maestri.

Articolo di Chiara Zaccherotti, pubblicato suLa Voce di New York
Con L'Italia s'è desta, i ragli del teatro civile approdano a NY
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