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Le mille identità del TORINO FRINGE FESTIVAL
a cura di Roberto Canavesi
Sguardo critico su alcune proposte della rassegna torinese
Il Torino Fringe Festival, con il suo ricco cartellone distribuito per la città, nasce come vetrina a tutto campo di teatro e non solo da consumare in luoghi spesso non pensati per eventi spettacolari.

Tra le diverse location ci siamo imbattuti ai Magazzini sul Po nel debutto di Movti, tragicomica riflessione sulla morte che Angelo Tronca dirige ed interpreta insieme ai validi Francesco Gargiulo, Liliana Benini e Cecilia Bozzolini: se vivere, è risaputo, non è cosa facile, morire non risulta essere da meno, soprattutto se la candidata a valicare il confine tra ``al di qua” ed ``al di la” è una giovane donna dall’evidente rotacismo che le impedisce di essere accolta a pieno titolo dalla nera signora. A proprio agio sul terreno del grottesco, Tronca confeziona una partitura teatrale che al netto di alcune licenze fa riflettere sui binomi vita-morte, corpi-anima, in sessanta minuti scanditi da risate e buon umore come da un amaro retrogusto su senso e significato di quell’esistenza sempre in bilico su fragili equilibri.

A seguire è stato il turno di Dovevate rimanere a casa, coglioni, celebre partitura di Rodrigo Garcia che l’intensa Rebecca Rossetti, diretta da Jurij Ferrini, fa ormai sua come una seconda pelle: gli originali cinque monologhi diventano materiale per un’unica danza verbale con assoluto protagonista il testo, la parola in tutta la sua spiazzante forza proposta in un contesto spoglio, del tutto alieno dalla provocante ambientazione dello scrittore ispano-argentino. In questa apparente terra di nessuno la Rossetti imperversa con la sua nevrotica fisicità, proiettando il cinismo e la carica provocatoria di una scrittura che costringe lo spettatore a fare i conti con le infinite contraddizioni dello stare al mondo: ininterrotta esplosione di rabbia ed energia che si autoannulla in un vibrante finale dominato dall’implosione, o forse resa, della protagonista in grado di riconoscere l’impossibilità di contrastare quanto ogni giorno la vita apparecchia sul proprio cammino. 

Altra sede, l’Unione Culturale Franco Antonicelli, altro programma con Giulio Lanzafame applaudito protagonista in Tramp, circo contemporaneo tra scatole di cartone, sedie mezze sfondate, scale e ripiani ballerini: non è certo la delicatezza il pregio migliore di un Lanzafame incontrastato padrone nel caotico disordine che caratterizza la sua stanza. Nel goffo tentativo di mettere un po’ in ordine ogni oggetto sembra animarsi regalando divertimento a suon di risate: e se la prima parte è tutta un catena di grotteschi incidenti, solo in apparenza casuali, la seconda mezzora è all’insegna della giocoleria e dell’equilibrismo con l’acrobatico epilogo musicale di una performance per grandi e piccini dove il pubblico non è semplice spettatore, ma a tratti divertito e divertente protagonista. 

Di tutt’altro genere l’Intime Frende che Chiara Elisa Rossini dirige in una produzione Teatro del Lemming, in collaborazione con TATWERK/Performative Forschung: performance internazionale con un cast femminile italo-tedesco-brasiliano per uno spettacolo costruito su quei temi di identità ed appartenenza che ogni giorno imperversano nelle cronache. Accolto da personale in tuta bianca, come sbarcato da uno dei tanti barconi della morte, il pubblico è prima identificato con braccialetti colorati e poi fatto accomodare, chi per terra chi su sedie, chi a destra chi a sinistra, a seconda della sua provenienza: un simbolico inizio da cui si intuisce il filone del racconto che affronta in maniera netta, talvolta anche provocatoria, la difesa dei principi culturali e delle diversità che si accompagnano alla salvaguardia di non meno importanti diritti. Il risultato vede pubblico e privato intersecarsi in un continuo gioco di incastri per un esito finale che, lungi dal volere offrire o imporre risposte, interroga e smuove le coscienze di una collettività di continuo sollecitata dalle tragiche cronache.

Il terzo spazio visitato è stato Le Musichall, piccolo gioiello di recente tornato a vita nuova sotto la direzione artistica di Arturo Brachetti: nei suoi spazi abbiamo assistito a Macondo, performance di autoteatro, ideata da Silvia Mercuriali, ispirata a Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Assegnati a quattro diversi ruoli (eroi, pubblico, critici e coro) con tanto di cuffie dove ascoltare indicazioni e suggerimenti, gli spettatori diventano parte di un gioco teatrale multisensoriale che li porta sul palco a vestire i panni dei diversi personaggi. Per alcuni esperienza coinvolgente e suggestiva, il progetto performativo si colloca sulla falsa riga di quelle operazioni che intendono indagare il confine tra finzione e realtà, tra essere ed apparire, regalando al pubblico l’opportunità di un coinvolgimento diretto nella storia che prende forma davanti ai loro occhi. 

Di tutt’altro spessore Lo stronzo che un bravissimo Andrea Lupo porta in scena nella produzione del bolognese Teatro delle Temperie: un’enorme porta chiusa dall’interno separa Luca e Lilli nella serata del loro decimo anniversario di matrimonio. Dietro quella porta si è barricata una donna forse offesa ed indignata, di certo impaurita e terrorizzata, dai modi di un compagno che cerca tra improperi ed eccessi di ira un forzato ricongiungimento. Il ristorante prenotato, il dopo cena organizzato, nulla sembra poter scardinare le intenzioni di una compagna con cui si è trascorsa metà della propria esistenza: e se l’impossibilità di valicare l’uscio diventa pretesto per la progressiva consapevolezza dei propri limiti di uomo e marito, la disperata solitudine che si trova a vivere è soprattutto occasione per una serie di flash back su famiglia e giovinezza. In sessanta minuti di crescente intensità prendono forma lontani fantasmi con un nonno tanto amato quanto violento, con due genitori talmente felici da separarsi e perdersi di vista, e con un fratello poco considerato, ma in realtà molto attento e consapevole. Disagio passato ed inquietudine presente per il ritratto di una disperata solitudine destinata forse ad esplodere in modo drammatico e definitivo una volta abbattuta la porta-rifugio.
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