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Anfitrione
a cura di Giancarlo Zappoli
Visto al Teatro Manzoni il 31 ottobre 2019
di Sergio Pierattini 
regia di Filippo Dini 
con Gigio Alberti, Barbora Bobulova, Antonio Catania, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Valeria Angelozzi 
scene Laura Benzi 
costumi Alessandro Lai 
luci Pasquale Mari 
musiche Arturo Annecchino 
Produzione: La Pirandelliana in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana
In scena al Teatro Manzoni dal 31 ottobre al 17 novembre 2019
I classici, quelli veri, sono tali perché resistono all’usura del tempo che su altri testi agisce spietatamente. I classici sono tali anche perché possono essere sottoposti ad aggiornamenti senza perdere il loro senso più profondo. L’Anfitrione di Plauto di rivisitazioni ne ha avute tante nei secoli, Molière, Giroudoux, von Kleist (solo per citare i più famosi) lo hanno adattato ai loro tempi cogliendo l’occasione per fare satira sociale. Perché allora non trasferirlo ai giorni nostri in questa Italia a cui, in politica e altrove, gli ‘anfitrioni’ non mancano? Cosa si intende per ‘anfitrione’? Un uomo rozzo, arrogante, pieno di sé, insensibile nei confronti dei bisogni della consorte. Il ritratto perfetto per trasformarlo in un politico improvvisato dei nostri giorni che, grazie all’intervento di un Giove interessato a prendere il suo posto in un letto coniugale in cui ormai succede molto poco, gli fa stravincere le elezioni per tenerlo lontano dal suo domicilio. La difficoltà in questa rilettura poteva essere quella di parlare di dei come Giove e Mercurio ma in realtà, dopo un adattamento iniziale, si finisce con il non farci più caso. 

Ciò che invece emerge sono tre elementi. Innanzitutto la scrittura di Sergio Pierattini che, lasciando intatto l’impianto di base, offre affilate variazioni sul tema lavorando con finezza sulle psicologie dei personaggi trasferiti nella contemporaneità. A ognuno di loro offre lo spazio per rivelarsi, per mettere a nudo anche i lati più oscuri in questo gioco di doppi in cui la specularità domina. Per ottenere il massimo c’era però bisogno di una regia e di un cast su misura. Ci sono entrambi. Filippo Dini riesce ad orchestrare la vicenda concedendo i giusti tempi sia alla comicità più diretta che alla riflessione. 

Gli attori aderiscono al progetto con grande abilità di cesello. Giovanni Esposito nei panni di Sosia ha il compito non facile di rompere il ghiaccio e lo fa con una lunga ed esilarante telefonata alla madre conferendo da subito al personaggio un mix di cialtronaggine e di ansia esistenziale. Antonio Catania è la summa di alcuni politici nostrani fatta di ignoranza e di furbizia miste a un’assoluta incapacità di guardare al di là di se stessi. Gigio Alberti, effettivo deus ex machina della vicenda, non è solo colui che intende mettere in luce i difetti altrui ma è anche (e soprattutto) il subdolo ingannatore bravo soprattutto nel sedurre senza però saper trasformare la seduzione in un sentimento ‘umano’. Così come il Mercurio di Valerio Santoro, sottoposto come il suo doppio Sosia, ai voleri del suo padrone e come lui pronto a sedurre, senza altra finalità se non il sesso, la cameriera Bromia, una Valeria Angelozzi con i giusti tempi comici nella scena della presunta intrusione dell’immigrato. Barbora Bobulova è Alcmena di cui riesce a portare sul palcoscenico i desideri e le frustrazioni e, soprattutto, la consapevolezza di essere alla fine colei che ha sì goduto del piacere di una notte di passione ma che, al contempo, è stata ingannata ed impedita di scegliere coscientemente. Su tutto aleggia la chiamata al Quirinale del futuro Presidente del Consiglio Anfitrione che, senza arte né parte come si diceva un tempo e anche sbagliando i congiuntivi, governerà il Belpaese. Uscendo resta il piacere di aver assistito a uno spettacolo divertente e intelligente che ci lascia però un’amarezza in più: perché nella realtà certi politici non li ha fatti eleggere Giove. Siamo stati noi.
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