Il nostro viaggio si è inaugurato ad OFF Topic con Emmipiacevavivere, reading-concerto firmato da Michelangelo Bellani e Caroline Baglioni con l'attrice umbra accompagnata dalle sonorità live di Francesco Federici: performance ancora in via di costruzione, il racconto si ispira ad un fatto realmente accaduto, storia di assurda violenza con protagonista un nonno, una nipote bambina, una figlia mai nata: mescolando vita reale a realtà immaginata, Caroline Baglioni ci guida in un mondo fatto di violenze domestiche ed assurda omertà, dove la potenza della parola, ora disperato grido di denuncia, ora invocazione di speranza, rende possibile l'incontro tra una non-madre ed una non-figlia, tra una giovane donna costretta ad abortire per nascondere la violenza subita e quella figlia mai conosciuta cui si rivolge in un misto di dolore ed amore.
Per sottrarsi al rischio di una narrazione troppo didascalica, Bellani-Baglioni scelgono la strada del racconto musicato, strada intrapresa alternando parole e suoni i cui futuri, necessari, sviluppi non potranno che perfezionare l'intera resa scenica ora affidata alla sola interprete di nero vestita, dolente voce di una cruda testimonianza di vita vissuta che la Baglioni fa rivivere modulando la voce tra microfoni ad aste e leggii.
Spostandoci a San Pietro in Vincoli la prima settimana del Fringe ha ospitato una doppia proposta: in apertura di serata la compagnia calabrese Scena Verticale ha presentato il suo I 4 desideri di Santu Martinu, favola popolare che richiama la forma narrativa del cunto con in scena gli a lungo applauditi Dario De Luca e Gianfranco De Franco.
Quanto un desiderio concesso per volontà soprannaturale può modificare l'esistenza di una persona? Da questa premessa parte la narrazione in dialetto calabrese di un pecoraio e di sua moglie cui il Santo concede la possibilità di realizzare quattro desideri come premio per la devozione di un'intera vita: se però ad una persona concedi la libertà di chiedere una mano, il rischio è che pretenda l'intero braccio, e così tanto l'uomo quanto la donna iniziano un balletto di pretese a sfondo sessuale che li porterà a diventare impensabili figure con i corpi addobbati di membri e vagine.
All'interno di un cerchio bianco dipinto sul terreno, con Gianfranco De Franco nel ruolo di rumorista e creatore di suoni, Dario De Luca trascina il pubblico nell’ascolto del "favolazzo osceno", storia di matrice popolare che tanto richiama quella letteratura medievale, inevitabile pensare al Boccaccio come a Rabelais, non di rado attraversata da atmosfere surreali e fantastiche: il tutto servendosi di una lingua coinvolgente e musicale, dal forte potenziale evocativo, apoteosi di sonorità, di sensi, controsensi e doppi sensi che non scadono mai nella gretta volgarità, semmai fanno leva su una forza provocatoria da sbattere in faccia a consolidati luoghi comuni. La riscrittura originale del finale è poi la classica ciliegina sulla torta ad impreziosire il racconto con un tocco di provocante modernità attraverso il ricorso al fantastico ed all'assurdo, elementi di cui la cultura popolare a tutti i livelli si è per secoli nutrita ed alimentata.
A seguire, nel medesimo spazio, la ribalta è toccata al coraggioso collettivo torinese Pappagalli in Trappola impegnati in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, dramma reso celebre tanto dalle numerose riletture teatrali quanto da non meno famose versioni cinematografiche: con la premessa che ci piacerebbe rivedere lo spettacolo in uno spazio meno claustrofobico e ristretto dei pur sempre suggestivi ambienti di San Pietro in Vincoli, la rilettura con drammaturgia di Camilla Bassetti e regia di Ludovica Aprile è spettacolo per lunghi tratti in linea con il clima di tensione che anima il racconto delle sorelle Blanche e Stella Dubois, come di Stanley Kowalski, marito di Stella, e del suo sodale Mitch, salvo spiazzare l'attenzione dello spettatore con un paio di elementi "distraenti", una donna esterna alla vicenda (cornice narrativa? Proiezione di Stella a rappresentare quello che avrebbe voluto essere, e non è stata?) ed un uomo di fronte ad un portatile con non meglio definite funzioni di videomaker.
Presenze di rottura che si insinuano nell'azione teatrale di Maria Virginia Aprile, Elisa Gandolfi, Francesco Gargiulo e Paolo Malgioglio, insieme a Camilla Bassetti e Davide Demasi interpreti cui non si può non riconoscere intensità e impegno nel far rivivere la caduta agli inferi di un intero sistema famiglia: se Blanche, infatti, arriva a New Orleans dalla sorella dopo ver perso tutti e tutto, la stessa Stella sprofonda in un incubo esistenziale vittima, da un lato, dell'ingombrate presenza della sorella dal torbido passato, succube dall'altro di un marito maschera di aggressività e rudezza.
Ed ancora, scavallando alla seconda settimana del programma, che cosa si aspetta uno spettatore a teatro? Quali le sue attese una volta seduto in platea? Per molti l'ideale sarebbe non uscire dalla sala come si è entrati, semmai più "turbati" nell'animo, con alcune eventuali certezze smontate, ancora meglio se in balìa di possibili dubbi ed interrogativi.
Queste le premesse che sottendono a Il funerale di mia madre: The show, commedia agrodolce della trentaquattrenne inglese Kelly Jones che Enchiridion Teatro ha presentato in anteprima nello spazio Tingel Tangel: scrittrice dal futuro incerto, Abigal si divide tra colloqui di lavoro con impresari teatrali e turni da cameriera per sbarcare il lunario, esistenza precaria complicata dalla scomparsa della madre cui ora bisogna dare degna sepoltura fronteggiando le non irrilevanti spese del funerale. Completa il quadro il difficile rapporto della donna con un fratello che ha sempre chiamato la madre solo per nome, a testimonianza di un legame genitore/figlio mai nato, e sempre vissuto con reciproco distacco.
La scrittura della Jones impressiona per ritmo arrivando a coinvolgere in un racconto misto di realtà e finzione con Abigal costretta ad immaginare in pochi giorni un testo teatrale proprio sulla madre per potersi permettere un onesto congedo: in un'ora abbondante il tutto diventa pretesto per un'attenta, ed a tratti grottesca, riflessione sulle contrastanti dinamiche familiari tra genitori, figli e fratelli, sullo sfondo di un contesto sociale dove la precarietà è vissuta come elemento di ostacolo alla sopravvivenza quotidiana. Dialoghi serrati in cui si parla di morte e di disuguaglianza sociale, della creazione artistica e della vita in genere, alternando l'immancabile ironia british ad una grande profondità che gli applauditi Elsa Bossi, Alice Giroldini e Mauro Parrinello, sua anche la regia a quattro mani con Francesca Montanino, ottimamente rendono in un contenitore teatrale di piccoli grandi drammi umani.
Di tutt'altro genere, e per tutt'altra platea, Le avventure di Pinocchio. Raccontate da lui medesimo che Flavio Albanese per la barese Compagnia del Sole porta in scena al Teatro Baretti in sessanta minuti prima di tutto grande festa per il pubblico dei più piccoli: già applaudito l'anno scorso al Fringe per il suo omaggio al genio di Leonardo da Vinci, l'eclettico Albanese veste quest'anno i panni del burattino più famoso ripercorrendone le tappe salienti in un racconto capace di affascinare grandi e piccini.
Accompagnato dalle musiche del maestro Roberto Vacca, l'interprete gioca con le atmosfere del teatro di varietà divertendosi a far apparire e scomparire i diversi personaggi in un adrenalinico circo abitato dalla Fata Turchina come dal Gatto e dalla Volpe, da Mangiafuoco, Lucignolo e Geppetto: sprazzi di musica classica, come le inconfondibili melodie della versione televisiva diretta da Luigi Comencini, sono la colonna sonora di uno spettacolo divertito e divertente con i piccoli spettatori in platea ad interagire, ed a tratti interrompere, regalando al racconto quel tocco di imprevedibilità che rende la narrazione, tra prosa e filastrocche, giochi di parole e canzoni, un viaggio nella memoria dei bambini che siamo stati, e che forse certe volte mai dovremmo smettere di essere.
L'ultima incursione al Torino Fringe Festival 2025 è stata al Lombroso16 per Quell'attimo di beatitudine, surreale monologo ideato e realizzato da Christian di Filippo per il collettivo AMAranta Indoors, ispirato a The lady in the van di Alan Bennett, con un divertente racconto capace di strizzare l'occhio ad alcune deformazioni del presente: a lungo meritatamente applaudito, a suo particolare agio nei toni grotteschi di una scrittura che gli appartiene da sempre, l'attore pugliese di nascita, ma torinese di adozione teatrale, da voce all'uomo autoreclusosi per dieci anni in un'utilitaria, torre d'avorio da dove osserva la vita del suo quartiere combattendo a modo suo contro quelle che considera piccole e grandi ingiustizie sociali. La sempre più difficile convivenza con il vicinato induce l'uomo un bel giorno a dar fuoco alla propria auto, mettendo a serio rischio l'incolumità collettiva con un insano gesto che gli costa l'arresto immediato: negli angusti spazi della sua cella inizia così una sorta di "nuova vita", scopre ben presto non meglio precisati poter guaritori che lo proietteranno alla ribalta televisiva con tanto di inaspettato incontro con il Papa, e caffè versato addosso al Pontefice.
Le parole di Quell'attimo di beatitudine, o forse quell'unico momento di gloria, diventano il pretesto per una riflessione sulla pulsione del singolo a volersi ritagliare a tutti i costi uno spazio nella società, salvo poi venir triturato da un meccanismo, in questo caso mediatico, che sbatte in prima pagina il fenomeno di turno, come in un circo di desolante e disperata umanità dove l'itinerario dalla polvere all'altare è percorso tanto fulmineo quanto illusorio.
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