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BESTIE DI SCENA: L'ATTORE SACRIFICALE
a cura di Nicola Bionda
visto al Piccolo Teatro Strehler il 22 marzo 2017
Ideato e diretto da Emma Dante 

Con: Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alessandra Fazzino, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli, Daniela Macaluso, Gabriele Gugliara

Elementi scenici: Emma Dante

Luci: Cristian Zucaro

Coproduzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo, Festival d’Avignon

Durata un’ora e mezza senza intervallo
Nello spettacolo sono presenti scene di nudo integrale.  
TRAMA
Una comunità in fuga, come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso. Le bestie finiscono su un palcoscenico pieno d’insidie e di tentazioni, il luogo del peccato, il mondo terreno. Le bestie di scena Ballano, cantano, urlano, litigano nei dialetti del sud, seducono, impazziscono, amano, ridono, combattono; costretti di volta in volta a confrontarsi con gli elementi che arrivano da fuori scena. 

RECENSIONE
Bestie di scena, l’ultimo spettacolo di Emma Dante (coprodotto da Piccolo Teatro di Milano, Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo e Festival d’Avignon) è sicuramente un lavoro complesso. La sintesi drammaturgica e visiva di un lungo percorso. Una composizione visiva pressochè perfetta che è la risultante di un paziente e metodico lavoro sull’attore, sullo spazio e sopratutto sul gesto. Già nel titolo troviamo le due componenti fondamentali, il corpo e lo spazio. Emma Dante sceglie intelligentemente di utilizzare un’espressione di origine francofona, “bêtes de scène”, un termine crudo che rimanda immediatamente agli animali da soma, alle bestie sacrificali, alla fatica ma sopratutto all’impotenza e alla subalternità nei confronti di un’entità terza, di un regista/Dio (o di una scena/Dio) in grado indirizzare ogni gesto e di privare di qualunque libertà.

Il lavoro (è difficile chiamarlo spettacolo) inizia nel momento in cui lo spettatore varca la soglia della sala, prima ancora di trovare il proprio posto in platea. Il lungo training, condotto a turno da uno degli attori, è già in atto sul palcoscenico. Lo spettatore ha così accesso a qualcosa che normalmente gli è precluso, celato allo sguardo, a un mondo non più relegato dietro le quinte. Qualcosa che, solitamente, non è dato conoscere. Tutto lo spettacolo alla fine è un lungo training, un preciso lavoro sull’attore e per l’attore. Un percorso a ritroso per ritrovare un tempo originario. libero da costruzioni narrative e di linguaggio. Emma Dante, come già altri prima di lei, decide di eliminare definitivamente la distanza tra attore e personaggio. Riconduce la drammaturgia a semplice generatore di senso al servizio della scena.
Riconosciamo subito i gesti e i movimenti di Mpalermu, Le pulle de Le sorelle Macaluso, lo spazio della scena diventa il suo mondo immaginifico, l’origine inconscia del suo pensiero; il luogo in cui in cui la materia più grezza viene trattata ed elaborata fino a giungere a forma nuova. La caverna preistorica dell’origine del mito, nella mente della regista.

Bestie di scena è un lavoro profondamente lucido, a tratti cinico, spesso spietato. È chiara la volontà di mettere veramente a nudo l’uomo/attore esponendolo al nostro sguardo in tutta la sua inevitabile e sofferente fragilità e vulnerabilità. La nudità progressiva che ci viene proposta porta per forza di cose a una spersonalizzazione dell’individuo. L’uomo torna un organismo. il corpo si svuota, l’attore diventa bestia. La voce, con la sua fondamentale capacità di caratterizzare l’individuo, è totalmente assente fino quasi alla fine.

Bestie di scena è sicuramente il risultato di una profonda consapevolezza delle dinamiche della scena e del lavoro sull’attore (dietro ad ogni gesto, apparentemente originario, si riconosce la tecnica e il sacrificio che hanno portato a quel risultato). Un lavoro visivamente splendido in cui però fatichiamo, uscendo dalla sala, a trovare ciò di cui abbiamo veramente bisogno. Ciò che spinge lo spettatore, da millenni, a varcare la soglia di un luogo che, nonostante tutto, è sacro ancora oggi. L’empatia con l’uomo, il legame profondo tra la vita e la scena. Il teatro, in fondo, si genera esclusivamente nell’istante in cui l’attore incontra lo spettatore. Le bestie della Dante sono intrappolate in uno spazio al di fuori del quale non esiste nulla “al di là di quel perimetro inospitale non c’è nulla” ma, forse, proprio la relazione tra la scena e il “fuori” è il senso stesso del teatro. Toglierla ci lascia spiazzati, non ci rimane che osservare, in silenzio e con uno strano senso di colpa, quei corpi, nudi, intrappolati nella scena.

RECENSIONE - A cura di Francesca Sordini

Visto il 09 maggio 2018 al Piccolo Teatro Strehler 


Dodici personaggi si fermano, dopo un breve riscaldamento, già iniziato mentre gli spettatori entrano in sala, davanti alla platea illuminata. Man mano si tolgono scarpe, canotte, pantaloni, calzini, indumenti intimi. Restano completamente nudi, ma si coprono vergognosamente le pudende e, nel caso delle donne, i seni. Nel corso dell’ora successiva verrà loro chiesto di fare diverse cose: mangiare noccioline, pulirne i cocci con delle scope, bere, giocare a palla. Nessuna parola verrà proferita, né da parte di chi impartisce gli ordini, né da parte dei personaggi, che rimarranno completamente nudi nel corso di tutto lo spettacolo, né tantomeno dagli spettatori, immersi in un’esperienza senza parole né musica. 

Assistere a Bestie di scena è come guardare un acquario, o una gabbia, al cui interno si muovono soggetti impauriti e disorientati. Chi impartisce gli ordini è come un torturatore esterno che picchietta sul vetro dell’acquario per vedere se il pesciolino reagisce o meno. Si tratta di uno spazio senza un prima né dopo, nudo perché senza scenografia e all’occorrenza ingombro di strumenti, alcuni semplici, altri più eccentrici. All’interno di un simile spazio a un certo punto sembra cadere ogni residuo di pudore: tanto che quando ai personaggi viene chiesto di fare qualcosa, questi non si preoccupano più del fatto che siano nudi. 

Una sorta di festival degli istinti primordiali, in cui questi vengono stimolati e assecondati, come quando vengono fatti esplodere dei botti direttamente sul palco: sopraggiunta la paura, ecco svanire la vergogna di essere nudi.


Contemporaneo e artaudiano, oltre che pirandelliano fino al midollo, nel senso che i personaggi non sono personaggi, ma attori nel momento in cui stanno per adottare un ruolo predefinito – e abitano quindi quello spazio liminare tra l’essere se stessi e l’essere personaggi Bestie di scena scuote e interroga senza però risultare seccante: ottima la scelta di farlo durare un’ora e poco più. Non piacerà a chi detesta il teatro senza esegesi sicure; eppure i quattordicimila spettatori dell’edizione 2017 testimoniano che questi forse sono meno del previsto.

  • Bestie di scena regia Emma Dante
    Bestie di scena regia Emma Dante
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