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Pulsioni e passioni per l'inguaribile DON GIOVANNI
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Carignano di Torino il 5 aprile 2018
di Molière 
regia Valerio Binasco 

con Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Gianluca Gobbi, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Sergio Romano 

scene Guido Fiorato; luci Pasquale Mari; costumi Sandra Cardini;  musiche Arturo Annecchino 

Produzione Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Per il suo debutto nella veste di Direttore Artistico dello Stabile di Torino, Valerio Binasco sceglie il Don Giovanni di Moliére, evergreen della scena che l’attore e regista alessandrino allestisce con un gruppo di collaudati attori, molti dei quali già compagni di avventura nella stagione della Popular Shakespeare Company: due ore e mezza, intervallo compreso, per un classico che Binasco rilegge prediligendo la dimensione narrativa a quella dell’azione, con spazio più alla parola che ai gesti, in un racconto che si fa manifesta epifania delle più elementari pulsioni umane.

Nella scena di Guido Fiorato, spazio neutro con fondali e pannelli spostati a vista, ben illuminati dalle luci di Pasquale Mari, si consuma la parabola dell’inguaribile seduttore che da un lato promette un matrimonio al mese, e dall’altro sfida Dio, o se si preferisce il destino, in una singolar tenzone che lo vedrà alla fine grottescamente soccombere: da sempre attento a far interagire una sensibilità registica contemporanea alla visione per certi versi “popolare” dei classici, Binasco mostra di trovarsi a suo agio con la saga del libertino deciso a sfidare la moralità benpensante a forza di discutibili condotte comportamentali. Alla novizia Donna Elvira, prima sedotta e poi abbandonata con buona pace dei fratelli che lo inseguono per ottener soddisfazione, seguono amorose promesse rivolte alle ingenue Charlotte e Maturina, conosciute in un’osteria dalle napoletane atmosfere: da ultimo l’incontro con quel Commendatore mortalmente caduto sotto i suoi colpi, la cui statua si materializza in scena per la finale resa dei conti avanzata da una vita a lungo sfidata, ed ora pronta a chiedere soddisfazione.

Assai lontano da stereotipate rappresentazioni il Don Giovanni dell’ottimo Gianluca Gobbi è creatura beluina che ricorda l’ancestrale animalità dell’essere umano: fisicità a tratti debordante e voce rauca, quasi provenisse dai bassifondi dell’anima, per il ritratto di un personaggio tutto istinto e passioni, il cui stesso linguaggio spesso riflette le pulsioni dell’animo: condizione necessaria e indispensabile per la sua esistenza è però la figura di Sganarello, il fidato servo che Sergio Romano tratteggia con assoluta bravura in un’alternanza di toni e sfumature che devono fare i conti con quei bisogni della pancia, e più in generale della sopravvivenza, negli anni soddisfatti a fatica. Un po’ fool, ma anche un po’ zanni ed un po’ giullare, al cospetto di un padrone ormai morente tra le braccia del Commendatore, non resterà che a Sganarello chiedere “e adesso chi mi paga….”

Insieme a loro uno stuolo di validi interpreti, dai più esperti Nicola Pannelli, Fabrizio Contri, Fulvio Pepe e Lucio De Francesco, ai giovani Elena Gigliotti, Giordana Faggiano, Vittorio Camarota e Marta Cortellazzo Wiel, tutte applaudite tessere di un Don Giovanni certo lontano dalla tradizione intellettuale e filosofica, tipicamente novecentesca, per imporsi come tableau vivant in cui far “rivivere la vita” in alcune delle sue molteplici sfaccettature, l’inganno come la menzogna, il sesso al pari della follia.
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