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E se il fine pena da "mai" diventasse "ora"?
a cura di Roberto Canavesi
Visto a Tedacà bellARTE di Torino sabato16 ottobre 2021 
di Elvio Fassone 

Adattamento e regia Simone Schinocca

Con Salvatore D’Onofrio, Giuseppe Nitti e Costanza Maria Frola 

Assistente alla regia Valentina Aicardi; Scenografia e light design Sara Brigatti e Florinda Lombardi; Costumi Agostino Porchietto

Produzione Tedacà
Immaginate il mondo di un ergastolano, Salvatore, condannato al "fine pena mai" e consapevole che non potrà più respirare aria di libertà: immaginate il mondo del giudice che lo ha condannato, il Presidente, che può vivere tutto ciò di cui Salvatore è privato, vedere gli amici, crescere una famiglia, anche solo farsi un bagno nel mare. Immaginate ora l’incontro tra questi due mondi nelle pagine di una corrispondenza lunga quasi quarant’anni dove Salvatore ed il Presidente si vengono incontro, si confrontano e si confidano, in due parole si conoscono.

Fine pena: ora di Elvio Fassone è tutto questo, storia realmente accaduta dove l’autore ricostruisce il quarantennale rapporto con quell’uomo che ha condannato senza abbandonare, semmai nel tempo sostenuto dando e ricevendo fiducia: un incontro tra due uomini pronto a rivivere nella versione teatrale, adattata e diretta per il torinese Tedacà, presentata in prima nazionale al Festival delle Colline Torinesi. La materia, già di per sé emozionante, viene maneggiata con grande cura in uno spettacolo dai toni delicati, con qualche doverosa licenza comica, in cui Salvatore ed il Presidente sono il recto ed il verso della stessa medaglia, quella della fiducia, dell’apertura ad una reciproca conoscenza che non scavalchi le barriere erette con una sentenza di ergastolo, semmai aiuti a conoscerle, a conviverci, da ultimo a capire se dopo quasi quarant’anni di carcerazione ci possa essere una seconda possibilità. 
E se versus Salvatore il racconto non può che accompagnare l’esistenza di quest’uomo dagli atteggiamenti a tratti beluini, ma anche capace di amare e comprendere la sua Rosi che per tanti anni lo segue nei carceri di mezza Italia ("tutte belle città però", le ricorda con orgoglio), versus Presidente si fa evidente la volontà di mantenere viva la corrispondenza in quanto unico strumento per far capire come anche per gli ergastolani si debba pensare ad una seconda chance: non è buonismo il suo, né tanto meno arbitraria interpretazione del potere giuridico, semmai tentativo di immaginare una nuova giustizia, un’idea di carcere che non sia solo "ti sbatto dentro e butto la chiave" ma che rifletta sul valore riabilitativo della pena in un contesto che non dimentichi il percorso umano del condannato.
Al cospetto di una storia tutt’altro che facile da trattare, il regista Simone Schinocca lascia con intelligenza parlare i fatti, e lo fa costruendo uno spettacolo dalla doppia prospettiva visiva: se Salvatore non supera mai il "mondo di dentro", gabbia di corde a delimitare uno spazio scenico ora aula di tribunale, ora scomoda cella, ora improvvisata alcova per l’incontro amoroso con Rosi, il Presidente da questa ideale quarta parete ne sta spesso all’esterno, agendo e parlando da quel "mondo di fuori" abitato a pochi metri dagli stessi spettatori.

Salvatore D’Onofrio è all’inizio maschera di cattiveria e sfrontataggine, poi sempre più creatura disperata ed a tratti disillusa, addirittura fragile, in una resa scenica di assoluto livello che lo vede dividere il successo finale con Giuseppe Nitti, austero Presidente dall’equilibrata recitazione attenta a non superare il limite del suo ruolo: chiude il cerchio la Rosi della non meno brava Costanza Maria Frola, poco più che bambina nell’innamorarsi di quell’uomo che segue per anni, salvo poi lasciare, diventata donna, quando realizza di dover anteporre la sua vita al futuro di una relazione dal destino tutt’altro che definito. 

Accolto da convinti e meritati applausi di un pubblico emotivamente provato, Fine pena: ora non è solo uno spettacolo da vedere, ma il resoconto di una reciproca scoperta, di un venirsi incontro tra due uomini che si affidano con fiducia l’uno all’altro in un percorso di vita il cui finale, nella realtà, è ancora tutto da scrivere.
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