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LEAR di Edward Bond: alle radici del potere
a cura di Andrea Gimbo
Visto al Teatro India di Roma, 7 aprile 2017
di Edward Bond - adattamento e regia Lisa Ferlazzo Natoli, traduzione Tommaso Spinelli




con Elio De Capitani, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Alice Palazzi, Pilar Perez Aspa, Diego Sepe, Francesco Villano


scene Luca Brinchi, Fabiana Di Marco, Daniele Spanò

costumi Gianluca Falaschi luci Luigi Biondi - disegno del suono Alessandro Ferroni, Umberto Fiore - immagini a china Francesca Mariani - disegno video Maddalena Parise - collaboratore alla regia Roberta Zanardo


È sempre un problema di prospettive e proiezioni. Chi è Lear, che si nasconde in un porcile e che sconta i suoi peccati solo di fronte ad un fantasma? Edward Bond cambia la prospettiva con cui il sovrano Shakespeariano ha animato i palchi mondali in 500 anni di storia teatrale, proiettando una figura destabilizzante e malata, le cui voracità diventano la base per quel rumore di fondo (elettrico, metallico, urlato) che attraverserà per quasi tre ore lo spettacolo di Lisa Ferlazzo Natoli.


In effetti la vera difficoltà per lo spettatore è data dal processo di decostruzione del mito-Lear, e dalla successiva operazione di ricucitura e riposizionamento del personaggio dentro una sorta di contesto post-tutto, che nullifica qualunque tentativo di orientamento drammaturgico canonico.


Certo è che, se si cercasse di sciogliere il nodo tensivo che lega Lear, il re, alle sue figlie più voraci e isteriche, rimarrebbe, sempre e per sempre, inalterata la fame di potere e gloria che muove da secoli questo dramma fino a conseguenze estreme e tragiche.


Il Lear in questione (interpretato da Elio De Capitani) però ottiene il duplice effetto di scindere la memoria dello spettatore dal testo originale e di focalizzare l’attenzione sui temi, più che sui personaggi.


L’effetto finale è chiaro e oggettivo, forse al limite del didascalico. Lo spettatore è accompagnato in modo costante dentro il processo sviluppato dalla regia, all’interno di tutte le stanze psichiche e morali del re. Una fitta selva di luci al neon scandisce l’ossessiva e ritmica tensione che sulla scena si traduce in costante anelito di rivolta, in un tutti contro tutti che dell’originale shakespeariano mantiene solo qualche pallida ombra.


Lear è uno spettacolo urlato, volutamente arcaico, nella struttura estetica e nelle geometrie che si sviluppano sulla scena. La sua forza morale affonda le radici in un substrato fatto di tentazioni e bisogni (l’uso del potere, la difesa dello status quo) che, pur presenti nella tragedia shakespeariana, qui si gonfiano di una pulsione ancora più profonda, collegando di fatto il moto tragico di Shakespeare con moltissime tensioni contemporanee.


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