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IL TEATRO È VICINO: INTERVISTA A STEFAN KAEGI
a cura di Giampiero Raganelli
Una chiacchierata con Stefan Kaegi dei Rimini Protokoll: la loro concezione della performance interattiva, site specific, il loro metodo di lavoro, il loro approccio a temi come l’Europa e la morte
Stefan Kaegi, insieme a Helgard Haug e Daniel Wetzel, è uno dei fondatori del collettivo Rimini Protokoll. Nato nel 2000, con sede a Berlino, il gruppo lavora nel senso della totale demolizione della dimensione della rappresentazione teatrale in nome di nuove forme di performance. Fondamentali per loro sono l’interazione con la realtà e con il pubblico che viene reso protagonista, l’utilizzo di ogni genere di spazio in cui lo spettacolo/performance viene contestualizzato. In Italia si sono visti riconoscere nel 2011 il Leone d’Argento alla Biennale di Teatro di Venezia. Hanno presentato Europa a domicilio / Home Visit Europe, realizzato in case private come gioco di ruolo sull’Europa, in anteprima ai festival Inteatro Polverigi e Pergine Spettacolo Aperto, e ora è “in scena” a Milano nella stagione di Zona K. In occasione dell’allestimento a Pergine abbiamo avuto l’occasione di intervistare Stefan Kaegi.
Ho partecipato a due dei vostri lavori, Remote Milano e ora Home Visit Europe. In entrambi i casi questi si fondano su un delicato equilibrio tra l’eterodirezione dei partecipanti, loro spazi di libertà, decisioni, improvvisazioni anche interagendo tra di loro, in gruppo o in coppia. Come e perché avete sviluppato questo sistema? 

Cerchiamo di sedurre la gente e allettarla a fare cose che inizialmente non si aspetterebbero possano essere fatte. La chiave di questa seduzione deve essere chiara e la gente non deve essere imbrogliata. 

In entrambi i casi il meccanismo di comando appartiene al mondo tecnologico, la voce meccanica in cuffia, il marchingegno e i tablet. Raccontate un mondo teleguidato da intelligenze artificiali? 

Con Remote X sì. Riguarda come la nostra realtà cambia quando affidiamo sempre più processi decisionali e memoria ai nostri computer. In Home Visit Europe il computer è solo uno strumento. Le interazioni servono a riflettere sui meccanismi che presiedono il prendere decisioni, la libera scelta, le decisioni anonime e la competizione. 

Nel caso del marchingegno di Home Visit Europe, le istruzioni sono contenute in scontrini come quelli della spesa. Segno della supremazia delle questioni economiche? 

Se lo dici tu... 

E in generale la tecnologia è la vostra chiave di lettura del contemporaneo?

No. I nostri lavori sono sempre sugli esseri umani e la loro realtà. Non sono interessato nella tecnologia per se stessa. Solo a come la gente vi reagisce. 

I vostri progetti sono sempre “site specific”? Cosa comporta per voi in termini di perlustrazioni, studi dei luoghi? 

No, Home Visit Europe non è del tutto site specific. Non vediamo mai gli appartamenti prima. La gente semplicemente si iscrive e se hai abbastanza spazio puoi ospitare lo spettacolo. L’esperienza allora può essere site specific. Ma noi vogliamo solo portare il teatro e la politica a casa vostra.

Come vi lavorate abitualmente? I luoghi rappresentano quindi un punto di partenza? 

Nel caso di progetti come Remote X e Truck Tracks Ruhr sì. Cerchiamo posti molto particolari e ci lasciamo sorprendere da ciò che troviamo durante l’esplorazione del luogo

Il vostro lavoro sembra cancellare definitivamente il concetto tradizionale di teatro, nel senso di rappresentazione. Eppure l’idea del gioco di ruolo, l’assegnare dei ruoli nello scacchiere europeo in Home Visit Europe basati sulle esperienze di vita (associazioni, partiti, l’aver mai fatto a botte), ci fa tornare al discorso dell’interpretazione, anche se da parte dei partecipanti. È un residuo dell’idea di teatro? 

Oh, il nostro teatro è molto sulla rappresentazione. E noi siamo dei narratori teatrali molto classici. Solo che noi contestualizziamo il pubblico nel gioco. 

In questi due lavori perseguite anche una certa pervasività nei confronti della privacy, nel primo caso entrando in luoghi come cimiteri, chiese, ospedali, nel secondo chiedendo ai partecipanti di raccontare cose di sé. È una direzione voluta? 

Non vuoi che il teatro ti arrivi più vicino? Non fa schifo l’idea stessa di tele-visione (visione distante = non-intrusione)? 

Perché avete sentito l’urgenza di parlare di Europa? 

I quotidiani nazionali sono pieni tutti I giorni di storie su come l’Europa sia contro certi interessi nazionali. Per quanto possiamo provare a essere nazionalisti, superare le frontiere è parte di tutte le nostre vite. Non conosco nessuno che non sia stato all’estero, quasi nessuno che non parli più lingue e che non abbia fatto dei soggiorni di studio all’estero o che non abbia famigliari che l’abbiano fatto. 

In Remote Milano è fondamentale il concetto di morte: si parte da un cimitero, si finisce in un ospedale dove la voce si interroga su chi per primo possa avere un cancro al cervello. Ora in Home Visit Europe un giocatore viene interrogato su quale sia il proprio luogo ideale di sepoltura. Perché questo insistere sulla fine? 

Qualcuno dice che la mortalità è al centro di ogni opera d’arte. Quindi io vado ben oltre questa strada. Il mio prossimo progetto `Nachlass - pieces sans personnes` [nella prossima stagione del Piccolo Teatro, N.d.R.`> avrà solo persone che sono in procinto di morire e rifletteranno su ciò che si lasceranno dietro. 

Il cimitero in Remote Milano mi sembrava riprodurre un’idea di città, le grandi cappelle e le file di loculi anonimi come il centro storico e le periferie. Confermi questa sensazione? 

Ottima osservazione.
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