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Se l’atto del perdono non fosse GHIACCIO impenetrabile?
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Gobetti di Torino giovedì 23 marzo 2022
di Bryony Lavery 

traduzione Monica Capuani, Massimiliano Farau 

con Filippo Dini, Mariangela Granelli, Lucia Mascino 

regia Filippo Dini; scene Maria Spazzi; costumi Katarina Vukcevic; luci Pasquale Mari; musiche Aleph Viola; aiuto regia Carlo Orlando 

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale IIn accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di United Agents LLP. Spettacolo consigliato ad un pubblico adulto
L’esercizio del perdono richiede innata predisposizione e serenità d’animo, soprattutto se a dover essere perdonato non è uno sgarbo qualunque ma l’omicidio della propria figlia di dieci anni da parte di un pedofilo: immaginare una piéce teatrale attorno a questo tema è atto di indubbio coraggio, impresa che per nulla spaventa la Bryony Lavery autrice di Frozen, dramma multiforme presentato in Italia con il titolo Ghiaccio nell’allestimento diretto da Filippo Dini, anche in scena con Mariangela Granelli e Lucia Mascino.

Nell’efficace traduzione di Monica Capuani e Massimiliano Farau rivive il racconto di Ralph, pedofilo assassino per nulla pentito, di Nancy, madre di una delle sue vittime, e di Agnetha, psicologa del crimine intenta a capire se possa esserci possibilità di perdono anche per i crimini più efferati: tre teste pensanti, tutte imprigionate in un "ghiaccio" esistenziale che per Ralph è la malata mente criminale, per Nancy la dicotomia odio/perdono, per Agnetha i meandri più nascosti della propria scienza. E se il tempo cura tutta le ferite, trascorsi vent’anni, ecco la madre lentamente aprirsi al perdono, spinta dalla figlia maggiore ormai ragazza matura, al pari della psichiatra anch’essa alle prese con i fantasmi del proprio passato: lato suo Ralph, dopo un inaspettato incontro/scontro con Nancy in cui la donna si mostra disponibile all’indulto, sceglierà la strada del cappio quale tardiva ammissione di consapevolezza.

Il testo, in assoluto non un capolavoro, si sviluppa per cento minuti filati ambientati in una scena a più livelli visivi, glaciale labirinto dove si consuma il viaggio nel tempo dei tre interpreti protagonisti di un’eccellente prova attoriale: l’ottimo Filippo Dini è lo spietato assassino prigioniero di una natura bifronte in perenne bilico tra sanguinaria lucidità ed ataviche fragilità, mentre Mariangela Granelli e Lucia Mascino non meno impressionano nei panni della madre capace di aprirsi alla comprensione e di una scienziata messa a dura prova dai continui conflitti tra immagine pubblica e sfera privata. Sarà proprio grazie all’ottimo lavoro interpretativo, ben assecondato dal disegno registico attento a non invadere mai il campo del registro attoriale, che il "ghiaccio" dell’anima lentamente si scioglie, lasciando in eredita allo spettatore interrogativi figli di un testo non facile il cui maggior pregio è farsi strumento di indagine per le singole coscienze chiamate, ciascuna a modo suo, a fornire possibili risposte.
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