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AMLETO O NON AMLETO? Questo è il dilemma...
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Carignano di Torino giovedì 9 ottobre 2025
di William Shakespeare 

traduzione e adattamento Diego Pleuteri; regia Leonardo Lidi 

con (in ordine alfabetico) Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Rosario Lisma, Nicola Pannelli, Mario Pirrello, Giuliana Vigogna

scene e luci Nicolas Bovey; costumi Aurora Damanti; suono Claudio Tortorici; regista assistente Alba Porto; cura movimenti scenici Riccardo Micheletti 

Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale con il sostegno di Fondazione CRT
Il paventato rischio di realizzare uno spettacolo controverso si è tramutato nella più evidente realtà: del resto, a pensarci bene, metter le mani oggi in Amleto vuol dire maneggiare un testo scritto nel 1602, e confrontarsi con scene in assoluto tra le più studiate e rappresentate dal teatro di tutti i tempi.

Per il settantesimo compleanno dello Stabile torinese, Leonardo Lidi prende il toro per le corna e sceglie, a quattro mani con il drammaturgo Diego Pleuteri, di rileggere la saga scespiriana con gli occhi dell’oggi, lavorando di sciabola sul testo, affidando tutti i personaggi a sette interpreti: in uno spettacolo dal doppio cromatismo, con il bianco in molte civiltà colore della morte a dominare scena semicircolare e costumi clowneschi, al solito con la firma di Nicolas Bovey e Aurora Damanti, alternato al rosso simbolo del potere, si sviluppa il ben noto racconto che "immerge" lo spettatore in un'atmosfera non sempre di lineare comprensione. Di immersione non a caso si parla, con quel trampolino appendice della scena occupato dagli interpreti quasi a voler a tratti uscire, isolarsi, dall’aurea della tradizione per tuffarsi in una rappresentazione che tradisca, nella sua accezione etimologica di "dare, restituire oltre", il dettato originario.

Simile approccio non può non accompagnarsi a concreti rischi, e così le due ore filate di Amleto a tratti sembrano un salire e scendere montagne russe, con sequenze più convincenti alternarsi a passaggi più perigliosi, per il cui superamento arriva quasi sempre in soccorso la figura dell'attore: ma anche qui, riferendoci al cast, il giudizio rischia di non esser uniforme spaziando dalle prove di Nicola Pannelli e Rosario Lisma, assai convincenti nei ruoli di Claudio e di Polonio/becchino, ai ridimensionati ruoli femminili dell'Ofelia di Giuliana Vigogna e della Gertrude di Ilaria Falini, mentre Christian La Rosa, anche Oreste alla fine della tragedia unico narratore, ed Alfonso De Vreese, pure Laerte, sono immolati sull'altare dell'originalità diventando Guildenstern e Rosencrantz in versione donnine allegre con prominenti seni in gomma piuma. E poi c'è ovviamente lui, l'Amleto di Mario Pirrello, interprete di riconosciuta sensibilità e bravura intento a tratteggiare una maschera più che un carattere, personaggio dalle movenze ora tormentate ed inquiete, ora grottesco e caricaturale, moderno Pierrot con caschetto nero affatto restio a rifugiarsi in sequenze cabarettistiche coinvolgendo un paio di ignari e divertiti spettatori per la ben nota recita a corte.

Nel complesso progetto che definiamo divisivo, e come non potrebbe essere, Amleto è spettacolo che fa discutere in alcune scelte, a partire dal sacrificio dei ruoli femminili, per la cui piena comprensione accorre in soccorso la forza della parola teatrale e del suo eterno tramite, l'attore: "trattali bene gli attori, perché sono l'essenza di un'epoca", ricorda Amleto invitando il pubblico a ripetere le sue parole come un mantra collettivo che alla fine assolutizza il teatro come luogo vivo, pulsante, necessario aggiungiamo noi.
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