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PLATONOV, la felicità? Questa sconosciuta....
a cura di Roberto Canavesi
Visto alle Fonderie Limone di Moncalieri il 7 giugno 2018
di Anton Cechov 

regia Marco Lorenzi

con Michele Sinisi e con Stefano Braschi, Roberta Calia, Yuri D'agostino, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Rebecca Rossetti, Angelo Maria Tronca 

adattamento Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi; regista Assistente Anne Hirth; style e visual concept Eleonora Diana; disegno luci Giorgio Tedesco; costumi Monica Di Pasqua.

uno spettacolo di Il Mulino Di Amleto, co-produzione Elsinor Centro Di Produzione Teatrale, Festival Delle Colline Torinesi, Tpe Teatro Piemonte Europa con il sostegno di La Corte Ospitale - Progetto Residenziale 2018 in collaborazione con Viartisti per La Residenza Al Parco Culturale Le Serre.
Una cosa è certa, non manca il coraggio a Marco Lorenzi e soci ogni qualvolta decidono di metter mano ad un classico della scena: è stato così per Gl’innamorati di Carlo Goldoni, per Il Misantropo di Molière e Ruy Blas di Victor Hugo, ed è cosi per il Platonov di Anton Cechov che il regista romano dirige servendosi dell’originale adattamento confezionato a quattro mani con Lorenzo De Iacovo.

In prima nazionale per il Festival delle Colline Torinesi, il dramma dello scrittore medico di Taganrog, pubblicato postumo nel 1920, pur essendo opera della gioventù ha già in sè molti degli elementi destinati a caratterizzare il teatro cechoviano, a partire dall'ambientazione in quella sconfinata campagna russa dove si colloca la dimora di Anna Petrovna, residenza caduta in disgrazia al cui interno si consumano feste a base di vodka e balli con il maestro elementare Platonov conteso tra la moglie Sasha, la stessa padrona di casa e la giovane Sofja, moglie del figliastro di Anna. Ed ancora, ulteriore topos di un’intera poetica teatrale, la non-azione che scandisce lo scorrere del tempo quanto mai dilatato: e se nel teatro di Cechov, come risaputo, non succede mai nulla, in Platonov questa condizione si amplifica con una generale apatia ed un collettivo rifiuto di vivere che, bicchiere dopo bicchiere, si impossessano dei protagonisti: non si è capaci di vivere come di amare, consapevolezza che la rilettura di Lorenzi fa ottimamente emergere in un allestimento assai lontano dai canonici clichè di rappresentazione, ma che per assurdo riafferma con prepotenza la straordinaria attualità e modernità del dettato originario.

Parole che puoi rileggere, riadattare, in un certo senso anche riscrivere, ma che alla fine riportano giocoforza a quella dimensione ancestrale da cui non puoi assolutamente prescindere: questa la principale eredità scenica di cento minuti dal crescente coinvolgimento con Michele Sinisi ispirata maschera di cinismo combattuto tra un ideale sociale di libertino ed epicureo, e quell'atavico spleen che lo porta a scontrarsi con una vita pronta ad offrire opportunità di riscatto, salvo poi presentare il conto finale che Sofja salderà con un colpo di pistola. Insieme a lui dividono i meritati applausi Roberta Calia, Barbara Mazzi e Rebecca Rossetti, abili a tratteggiare tre diverse variazioni sul tema femminile, ma anche Stefano Braschi, Yuri D’Agostino, Raffaele Musella ed Angelo Maria Tronca, tessere per nulla secondarie di un mosaico di disperata umanità nei cui fumosi riflessi, anche per lo spettatore di oggi, non è poi cosi difficile specchiarsi.
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