immagine home.jpg
Girovagando al TORINO FRINGE FESTIVAL, settimana 2…
a cura di Roberto Canavesi
Alzi la mano chi almeno una volta non ha vissuto cene con parenti o amici sperando di trovarsi in altre faccende affaccendato: situazione non così rara che due acuti artigiani del teatro brillante come Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte, già autori del celebre Le Prenom, mettono al centro della loro Una cena d’addio presentato a Spazio Kairòs dal gruppo torinese Onda Larsen.
Su ritmi vivaci e ben sostenuti dalla regia di Andrea Borini, il racconto di Pierre e Clotilde trae pretesto dalla convinzione di trascorrere controvoglia troppo tempo in attività di vario tipo, in primis vedere e frequentare persone con cui si è convinti di aver poco a che fare: per congedarsi una volta per tutte da conoscenti e pseudo amici la decisione quindi è irrevocabile, dare vita a vere e proprie cene d’addio teatralmente confezionate in una architettura in cui il pubblico non fatica a identificarsi. Lia Tomatis, Riccardo De Leo e Gianluca Guastella sono i divertenti, e divertiti, ingranaggi di un meccanismo comico che poco lascia all’immaginazione, ideale spazio per far emergere cinismo e cattiveria propri di una generazione fragile che non eccelle per coraggio, e dove si è soliti indossare le varie maschere delle convenzioni sociali invece di guardarsi allo specchio per confrontarsi, senza filtri né maschere, con le proprie debolezze e fragilità.

Stesso spazio ma registro totalmente diverso per il Calciobalilla scritto nel lontano 2009 da Davide Carnevali, ed allestito dal trio Fabrizio Martorelli, Stefano Moretti e Claudio Boschi: se il titolo richiama alla memoria il gioco che ha visto cimentarsi tutti, grandi e piccini, la scena ci restituisce una pillola teatrale sotto forma di sfida tra Alejandro Finisterre, intellettuale ed artista spagnolo da più parti considerato l’inventore del "futbolin", ed il rivoluzionario argentino Ernesto, detto il Che, incontrato nel 1952 in una anonimo bar guatemalteco. A sfidarsi nelle nove palline, l’uno di fronte all’altro, i due contendenti non si trovano con le stecche in mano intenti a muovere i fatidici omini rossi ed omini blu: semmai, ora seduti ad un tavolo ora davanti ad un microfono, sono attori di un radioracconto impegnati in singolari tenzoni poetiche, spesso in rime annacquate da una cascata di Martini, dove la tanto agognata pallina bianca ha le traiettorie impazzite di una parola con cui divertirsi a giocare, a provocare, a costruire mondi immaginari.

Spostandoci ad OFF Topic ci troviamo catapultati in una doppia differente proposta, Tea Ceremony con Marious Ioannou diretto da Achim Wieland e Sid-Fin qui tutto bene con la regia di Girolamo Lucania e l’interpretazione di Alberto Boubakar Malanchino in una produzione Cubo Teatro ed E20in scena: suggestiva performance di un teatro capace di ipnotizzare lo spettatore, Tea Ceremony vede il performer Geisha nei panni di guida in un viaggio che spazia dalle latitudini africane a quelle mediorientali, dall’India al Sudamerica, per l’evocativo succedersi di immagini che mescolano la millenaria cultura orientale ai cardini del pensiero occidentale. 
Immaginazione e silenzio sono le due parole chiave del racconto, per la cui piena comprensione dalla lingua inglese si sarebbe preferita la presenza dei soprattitoli, che il cipriota Marious Ioannou agisce in perfetta aderenza al suo ruolo di dama di compagnia: esemplare in gesti, pause e movimenti nel definire un contesto all’insegna della serenità presto in contrasto con la crudezza delle tematiche affrontate. Se infatti il mantra ripetuto nella prima parte è "I am yuor host and you are my guests", con il passare dei minuti il rapporto padrone-ospite si sposta in quello Pianeta Terra-abitanti, con immagini e parole che portano a riflettere sul nostro ruolo di ospiti, e non di padroni, degli spazi che ci circondano. E cosi la Geisha che all’inizio voleva fare il tè ci ricorda che per farlo è necessario disporre di quella materia prima la cui sopravvivenza è messa a dura prova dall’ambiente in cui dovrebbe crescere: premessa che assume i contorni di una narrazione pronta a spaziare dal sociale all’impegno ecologico, grida appena sussurrate per la difesa della malata Madre Terra, le cui ferite campeggiano su pannelli fotografici presentati in una sorta di indovinelli al pubblico, senza mai dimenticarsi che "il tempo è la più grande ricchezza di cui disponiamo", ultimo e non trascurabile messaggio in bottiglia che la Geisha lascia in eredità allo spettatore.

Il nostro viaggio nelle due settimane del Fringe torinese si conclude con Sid-Fin qui tutto bene, primo studio di un progetto di teatro acustico, liberamente ispirato ad Alì il magnifico di Paul Smail, che vede l’applaudito Alberto Boubakar Malanchino adrenalinico interprete di un "racconto di frontiera" nei panni di Sid, giovane dei giorni nostri rinchiuso in un carcere a fare i conti con la sua coscienza e con gli ingombranti fantasmi del burrascoso passato. Ben sostenuto dalla drammaturgia sonora eseguita live da Ivan Bert e Max Magaldi, il Sid di Malanchino è spirito dalle fattezza diaboliche: arrivato in Italia poco più che bambino si trova da subito a vivere una condizione di straniero al pari di un’intera generazione di ragazzi immigrati, o di immigrati di seconda generazione.
Sedotto dall’apparire più che dall’essere, dal denaro facile procurato con furtarelli nelle griffe del centro, fossero anche solo i sacchetti dei negozi d’alta moda, il suo è un itinerario all’inferno di sola andata dove il passaggio dalle parole ai fatti, dai propositi all’azione violenta, è la naturale conseguenza di una degenerazione personale che tanto sa di sconfitta collettiva per un’intera società: guadagnatosi sul campo l’eloquente appellativo di "killer dei sacchetti", Sid è creatura bifronte alla disperata ricerca di nuove strade da percorrere in un futuro tutto da scrivere. Per raccontare la sua parabola umana nulla gli serve, se non un leggio, un piazzato ad illuminarlo dall’alto, una colonna sonora dai ritmi pulsanti, e soprattutto la forza di quelle parole che ne definiscono il carattere e tracciano le coordinate di un’esistenza oggi presentata in forma di studio, ma domani prodotto compiuto di sicura presa sul pubblico.
  • Sid-Fin qui tutto bene.jpg
    Sid-Fin qui tutto bene.jpg
    archivio
    cookie law
    privacy