Ritornando per un attimo a quella serata di luglio del 1996 ai Villa Bria, quali i ricordi e le emozioni che irrompono nella mente tua e di Isabella?
"Quell'inizio fu per noi una partenza molto emozionante perché cominciava un'avventura che non avremmo saputo quanto sarebbe durata: uno dei ricordi principali della giornata è stato che i programmi a stampa arrivarono poco tempo prima della partenza perché lo stampatore si era perso in mezzo alle colline, non trovando Villa Bria. Ci fu un intervento provvidenziale di Roberto Gho che, incrociando il camioncino del corriere, lo scortò fino a destinazione.
Un semplice aneddoto a dimostrazione di come il festival sia sempre stato una manifestazione collettiva: ed ancora l’apertura di Galatea Ranzi con Mira Andriolo, in un'ambientazione mista di luce naturale e luce artificiale per un'impresa ai limiti dell'avventuroso, progetto che aveva a che fare con il rischio economico e organizzativo, per quanto poi tutto sia andato per il meglio".
Marchio di fabbrica del Festival è sempre stato lo sguardo alla creazione contemporanea nel tempo fissata in molteplici istantanee da infinite angolazioni: come è cambiata nel corso di questi decenni, e quali a tuo parere le tappe fondamentali del suo processo di evoluzione, o di involuzione?
"All'inizio avevamo trentatré spettacoli, segno evidente dell'azzardo di cui sopra: l'impostazione di partenza era una sorta di cappello in cui ancor oggi mi riconosco, la contrapposizione tra spettacoli di tradizione ed alcuni più sperimentali. Lo sperimentalismo di allora era soprattutto legato alla lingua e le relative prove di attore erano su autori che hanno fatto della lingua un laboratorio, Testori come Gadda, Cappuccio come la Speziani.
Adriana innocenti nel 1997, secondo anno di Festival, porta un'Erodiade al Castello di San Sebastiano Po e, due anni dopo, Sandro Lombardi la Mater strangosciàs di Testori: questa linea è rimasta presente per molto tempo, per arrivare alla Passio laetitiae felicitatis della coppia Malosti-Marinoni nella Chiesa dei Batù di Pecetto.
A un certo punto lo sperimentalismo linguistico perse un po' di importanza in corrispondenza del nuovo millennio e in qualche modo ci sono stati segnali di cambiamento rintracciabili in una serie di progetti firmati Societas: indizio evidente di una deviazione verso la creazione contemporanea non solo da riferirsi al testo ma anche alla conseguente messinscena, come testimonieranno numerose esperienze di sperimentazione scenica negli anni a venire, su tutti Pippo Delbono ed Emma Dante. Sempre nei primi anni del nuovo secolo arriva un primo segnale di sguardo verso la Francia, aprendo l'interesse verso la dimensione internazionale che da quel momento in poi caratterizzerà la programmazione futura: è stato, infatti, proprio a Parigi che abbiamo visto spettacoli di respiro europeo capaci di convincerci a investire attivamente nelle ospitalità internazionali".
Venendo all'edizione di quest'anno, quali le linee guida del programma?
"La linea guida è ancora la memoria, cosa si può e deve ricordare di un determinato periodo storico, come nel caso del collettivo svizzero Arnaboldi e della sua coreografia dedicata all'esperienza culturale di Oscar Schlemmer e del Bauhaus. Al contempo i nostri fedelissimi Lina Majdalanie e Rabih Mroué daranno vita ad uno spettacolo sul processo intentato per attività antiamericane a Bertolt Brecht: al tema della memoria quest'anno saranno dedicati molti lavori, da prospettive ed epoche differenti con Valter Malosti nel suo tributo a Primo Levi, o nel mio personale progetto sulla storia di Emilio Salgari con uno spettacolo realizzato nel Palazzo degli Istituti Anatomici mettendo l'uno di fronte l'altro lo scrittore e il medico incaricato della sua autopsia. Da ultimo spazio anche all'esplorazione nella drammaturgia anglosassone con Marina Carr, una sorta di inedito che abbiamo scelto di ospitare per sondare possibili nuovi orizzonti".
Una memoria non come "nostalgica rievocazione del tempo che fu", semmai come strumento del passato per meglio indagare il presente, nella speranza di migliorare il futuro: quali le motivazioni dietro questa scelta?
"La memoria, al pari della ricostruzione storica, sono il migliore viatico per impostare il futuro: in questa direzione va letta l'attesissima ospitalità di Rimini Protokoll, collettivo tedesco che indagherà rapporto tra Cina e Taipei, dando voce a tre taiwanesi di cui si raccoglierà il grido di denuncia e dolore. Operazione coraggiosa dietro cui si nasconde un invito a non tralasciare segnali importanti, soprattutto in ottica futura".
In chiusura sarebbe facile chiederti cosa ci sia dopo l'edizione numero trenta: ci piacerebbe invece sapere come vedi il futuro del Festival, anche e soprattutto in rapporto ai contradditori scenari del panorama teatrale italiano.
"Intanto quando da più parti mi hanno chiesto cosa succedesse dopo la trentesima io ho sempre detto che ne avremmo parlato alla fine: certo la calma non è fedele compagna di un Festival per motivi legati ad organizzazioni ed ospitalità. Ci sono sicuramente delle cose che andrebbero ridisegnate e modificate, soprattutto perché il panorama estero è molto cambiato: quel ruolo della Francia che nel 2000 era indiscutibile, oggi forse deve essere riconsiderato guardando in altre direzioni, a testimonianza di una vivacità creativa ed artistica che potrebbe spingerci anche molto lontano. Di certo una lezione che ci hanno insegnato questi trent'anni è che video e call vanno bene, ma nulla potrà mai superare i rapporti personali e la conoscenza diretta con spettacoli ed artisti che solo dal vivo si possono conoscere”.
Tutto il programma del Festival delle Colline Torinesi. Torino Creazione Contemporanea, edizione 2025, è consultabile sul sito www.fondazionetpe.it dove sono disponibili le indicazioni per acquisto biglietti (intero Euro 19, ridotto Euro 15) e carnet abbonamenti. Info biglietteria al numero 011.56.34.352.
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