disegno luci Luigi Biondi; costumi Aurora Damanti; regista assistente Alessandro Bandini; amministratrice di compagnia e distribuzione Paola Binetti; tecnica di compagnia Roberta Faiolo
Produzione LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Proxima Res
Ispirato dall'incontro con le detenute-attrici del teatro "Piccolo Shakespeare" all'interno della Casa Circondariale di Messina nell'ambito del progetto "Il Teatro per Sognare" di D'aRteventi diretto da Daniela Ursino
Serata particolare vissuta con l'artista siciliano alla fine accogliere amici e pubblico con gli occhi ancora marcati dal nero del trucco e un velo di rossetto sulle labbra, quasi a non voler svestire i panni della Tigre di Cremona, Mina, le cui canzoni sono tanto colonna sonora quanto tappeto drammaturgico in controluce del meraviglioso progetto: sia ben chiaro che Vorrei una voce tutto è fuorché una serata cover, semmai l'umanissimo ed intenso racconto di una serie di incontri vissuti con il gruppo di detenute con cui Tindaro ha lavorato per molti anni in laboratori nel carcere di massima sicurezza di Messina. Lodevole attività il cui esito finale è un prodotto artistico perfetta sintesi tra la sua biografia e le vite di donne segnate da pesanti crimini: esistenze forti, combattute, tra di loro diversissime, con cui si è immaginato teatro intorno al concetto di sogno per far rinascere quella dimensione femminile seriamente compromessa tra le sbarre della galera.
Assunta e Sonia, Gessica e Rita, sono loro le protagoniste del viaggio in un'umanità che sarebbe facile, e troppo sbrigativo, definire "disumana" per quanto depositaria di un vissuto pesante che, giorno dopo giorno, l'interazione con il teatro aiuta ad esorcizzare, a combattere, riaffermando la potenza di singole voci per rivendicare la propria esistenza: e così come Mina dal 23 agosto 1978 ha scelto di non riapparire più in pubblico, così Tindaro e queste attrici si affidano alle sue canzoni senza tempo per riaffermare la forza dell'esser donna, per ribadire l'importanza di non smettere di sognare.
Parallelamente però Vorrei una voce è anche pretesto per l'interprete per reincontrare la propria voce, per analizzare o forse considerare da una prospettiva diversa una vocazione teatrale che, come tutto nella vita, vive momenti di alti e bassi: l'ingresso in un penitenziario, la lunga e non facile frequentazione di ambienti e persone distanti anni luce dal proprio mondo, hanno costretto Tindaro a fare i conti con sé stesso, a rileggere una missione artistica che si incontra/scontra con la propria vita, con i grandi amori adolescenziali come con il desiderio da ragazzino di imitare Mina, cantando in playback le sue canzoni non prima di averne vestito i panni con improvvisati travestimenti in cerca della propria personalità.
Una serata vera, autentica e di grande umanità, in cui Tindaro Granata, vestendo e svestendo luccicanti costumi ricchi di paillettes, si mette generosamente a nudo davanti al pubblico facendo da un lato risuonare una voce femminile prigioniera di un corpo maschile, dall'altro regalando a tutti i presenti il poetico viaggio in un universo parallelo tragico, per quanto costellato di momenti ironici, dove il vissuto delle singole protagoniste è rianimato da iniezioni di un'inaspettata speranza.
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