regia di Elena Serra e Marco Lorenzi
con Vittorio Camarota, Giorgia Cipolla, Alessandro Conti, Yuri D'Agostino, Christian di Filippo, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Marcello Spinetta, Beatrice Vecchione,
Annamaria Troisi, Angelo Tronca
scene e luci Jacopo Valsania; costumi Alessio Rosati e Aurora Damanti
Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Quale che sarà il futuro, se lo scopo del gioco era intercettare nuovo pubblico con la doppia proposta scespiriana, il mese di repliche a serate alterne di Sogno di una notte di mezza estate e Romeo e Giulietta ha raggiunto l’obiettivo di presenze e caloroso gradimento.
In un tale specifico contesto il prodotto finale non poteva per tanti motivi essere una classica e rigorosa versione dei due classici del Bardo, semmai una rilettura edulcorata e, perché no, moderna per riaffermarne l’attualità di messaggi dalla valenza universale: è stato cosi per il Sogno di una notte di mezza estate da Elena Serra ambientato in una dimensione "altra”, tra sogno e realtà, e dove il protagonista assoluto è l’amore, il più nobile dei sentimenti, sviscerato e rappresentato in alcune delle sue infinite maschere. Luci stroboscopiche e musiche di impatto trasformano la verde platea in un bosco incantato dove dar forma al racconto degli irrequieti sovrani Oberon e Titania, cosi come ai preparativi per le imminenti nozze di Teseo ed Ippolita messe a repentaglio dall'inaspettata ribellione della giovane Ermia che rifiuta di acconsentire ad uno sposalizio combinato ed imposto dalla volontà paterna: immaginazione e fantasia, sogno e realtà, che la regista mescola con indubbia equilibrio creando un melting pot di immagini e suggestioni con tanto di "tradimento” letterario nel momento in cui sceglie di sostituire la recita dell’originaria Piramo e Tisbe con quella di Romeo e Giulietta, assecondando una libertà drammaturgica che tira la volata al secondo titolo diretto da Marco Lorenzi.
Se l’amore, in vari modi ed a vario titolo, imperversa nel Sogno, che dire della celebre passione degli infelici amanti di Verona? E qui il regista romano va letteralmente a nozze, confezionando novanta minuti da favola più che da tragedia con protagonista una gioventù alla costante ricerca della propria identità: i due protagonisti, ma anche Tebaldo e Mercuzio, la Balia e lo stesso Principe-Djay, sono figli del nostro tempo, di una realtà in cui si ha paura a crescere, e dove si muore ammazzati da antieroe, come il più classico dei Polonio, all'interno di una recita sempre disincantata e leggera, mai frivola e banale.
Due testi molto diversi per struttura e realizzazione che l’affiatato cast di giovani interpreti porta in scena con grande generosità: citarne alcuni vorrebbe dire far torto ad altri, e se forse l’unica pecca è nella distribuzione di alcune parti, a diffondersi nell'aria con prepotenza dalla scena è una grande carica di energia e vitalità, di coraggio ed impegno, che rendono le due serate del Prato inglese una godibile e piacevole esperienza.
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