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Scrivere a partire dal corpo, come indicano i personaggi - Intervista a Spiro Scimone
a cura di Donatella Codonesu
Un sodalizio che dura da quasi venticinque anni, durante il quale sono stati prodotti otto testi pluripremiati e un film. Il teatro di Spiro Scimone e Francesco Sframeli ha un’identità precisa, che lo rende riconoscibile e molto apprezzato anche oltre i confini italiani.
La Compagnia Scimone Sframeli nasce nel 1994 dalla volontà di due attori di individuare nuovi linguaggi. La loro prima opera, Nunzio, è in lingua messinese e debutta al Festival Internazionale “Taormina Arte” con la regia di Carlo Cecchi, vincendo due il premio IDI `Autori Nuovi` nel 1994 e la Medaglia d'oro IDI per la drammaturgia nel 1995. Nel 1997 seguono Bar, con la regia di Valerio Binasco e la scenografia di Titina Maselli, e due premi UBU, rispettivamente a Scimone come `Nuovo Autore` e a Sframeli `Nuovo Attore`. Da allora ogni nuova opera ha contribuito a consolidare un’identità precisa e un percorso professionale riconosciuto anche all’estero. La festa, 1999, diretta da Gianfelice Imparato, premio Candoni Arta Terme per la nuova drammaturgia, viene messa in scena dalla Comédie Francaise al Théâtre du Vieux-Colombier di Parigi con la regia di Galin Stoev e poi inserita nel programma della Stagione Culturale della Presidenza Francese dell’Unione Europea (2007). Nel 2003 Il cortile, premio Ubu 2004 nuovo testo italiano, con la regia di Valerio Binasco, viene co-prodotto dal Festival d’Automne à Paris, il Kunsten Festival des Arts di Bruxelles, il Théâtre Garonne de Toulouse e le Orestiadi di Gibellina. Seguono La busta (2006) e Pali, che nel 2009 vince l’Ubu come nuovo testo italiano, diretto da Sframeli e coprodotto dall’Espace Malraux, Scène Nationale de Chambéry e Asti Teatro. Nel 2012 Giù, coprodotto dal Festival delle Colline Torinesi e dal Théâtre Garonne de Toulouse, vince di nuovo un Ubu (miglior scenografia). Nel 2015 debutta il loro ultimo lavoro, Amore, presentato al Teatro di Roma lo scorso ottobre. Gli spettacoli della Compagnia Scimone Sframeli sono stati rappresentati in Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Spagna, Canada, Argentina, Portogallo, Olanda, Croazia, Grecia, Svezia e nei festival europei più prestigiosi. I testi sono tradotti in dieci lingue, prodotti in una quindicina di diversi paesi, dall’Europa al Sudamerica, e pubblicati in Italia (Ubulibri), Francia, Spagna e Portogallo. Il film Due amici (tratto da Nunzio e diretto e interpretato da entrambi gli artisti, ha vinto il Leone d‘oro come miglior opera prima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2002 ed è stato candidato come miglior opera prima 2002 al Premio David di Donatello, Nastri d’argento, European film awards. Il cortile è ancora in scena fino al 18 febbraio all'Off Off Theater di Roma.
In 24 anni 8 piéce e un film: testi densi, parole distillate, con peso specifico altissimo… Quanto ci metti a scrivere un’opera?
Dall’idea alla realizzazione scenica di solito passano tre anni. C’è una fase di scrittura iniziale, poi un lungo lavoro sulla messa in scena, ma i tempi sono diluiti, perché essendo anche attore sono spesso in tournée, non posso concentrarmi esclusivamente sulla scrittura. Quando si comincia a rifinire, per 2-3 mesi ci lavoro con continuità per poi partire con le prove e lì ovviamente si fanno ancora piccoli cambiamenti e modifiche.

Un sodalizio, quello con il “tuo” attore, che dura da sempre. Quanto e come contribuisce Francesco Sframeli alla scrittura?
Dopo ormai quasi 25 anni di unione professionale, da ambo le parti c’è un’assoluta distinzione dei ruoli: io scrivo, lui fa la regia. E’ chiaro che c’è un confronto in vari momenti, sia durante la fase di scrittura che durante la messa in scena, è inevitabile che ci siano dei confronti fra scrittore e attore da un lato, fra regista e attore dall’altro. I consigli sono fondamentali in ogni momento, a partire dalla primissima scrittura, e magari ci sono idee che poi si sviluppano drammaturgicamente. E poi, data la parola, l’attore fa anche un lavoro sui silenzi…. È il bello del teatro e da questo si vede la grandezza degli attori.

Dopo Nunzio non hai più scelto il dialetto, ma ne usi la musicalità...
Uso le parole messinesi, ma in scena non facciamo distinzione fra una lingua o l’altra, usiamo un linguaggio teatrale, che può essere interpretato da tutte le lingue del mondo. Ogni autore trova una propria musicalità, anzi sono i personaggi che gliela suggeriscono. E ovviamente suggeriscono un linguaggio teatrale, non “reale”.

Cosa succede quando le tue opere vengono rappresentate all’estero?
Il cortile è stato rappresentato in spagna, il rapporto fra attori e testo era diverso, ma questo fa parte della scrittura scenica, su un testo che funziona. La parola è il materiale a cui aggrapparti, come dice Peter Brook: “Tienti forte e lasciati andare con dolcezza”, cioè tenersi aggrappati a un testo solido, ma lasciarsi andare alla libertà dell’interpretazione.

Perché il tuo teatro ha tanto successo fuori dall'Italia?
Perché è basato su una lingua teatrale, non fatta solo di parole, ma soprattutto dei corpi dei personaggi, che si materializzano sulla scena tramite gli attori. Si deve scrivere pensando ai corpi, si parte dal fisico e dalla parola, non da un discorso mentale. Alla base della scrittura c’è immaginazione, ma anche movimento, energia, fisicità. Ecco quindi il linguaggio teatrale, che è universale anche se lo scrivi con le parole che appartengono a te. Il tuo idioma in fase di traduzione rende lo stesso, a patto di trovare traduttori che abbiano questa capacità e questo senso del teatro.

Quando i vostri lavori vengono recensiti nel mondo, vengono letti nello stesso modo?
Quando c’è una linea precisa, come nel nostro caso, si è identificabili. “Il teatro di Spiro Scimone e Francesco Sframeli” è molto chiaro e negli anni si perfeziona sempre più, non ci sentiamo arrivati, sappiamo che si può sempre migliorare, è un percorso che ci porta sempre più verso l’essenzialità. Nel momento in cui queste idee sono chiare arrivano dappertutto e i critici di tutto il mondo ne scrivono e ne parlano allo stesso modo. Sia quando i testi li mettiamo in scena noi, sia quando vengono messi in scena da compagnie di altri paesi, il cuore e l’anima sono quelli.

Tanti premi importanti… che cosa rappresentano, conferme o incentivi?

E’ ovvio che essere premiati fa piacere, ma non è la cosa più importante. Il vero premio, proprio perché il teatro è fatto con gli spettatori, è quando riesci a farlo vedere a più persone possibile. E’ questo che ci auguriamo sempre, ed è anche un modo per confrontarci: ascoltando gli altri puoi andare avanti nel tuo percorso migliorandoti.

Nel vostro teatro si ride spesso, nonostante la drammaticità della materia. L'ironia serve a sopravvivere?
Cerchiamo sempre di unire dramma e comicità, perché quando si riesce a mettere insieme questi due elementi l’uno fortifica l’altro. Non è semplice, serve una predisposizione e occorre trovare punti di contatto ed equilibrio. Ma riuscire a mantenere questo equilibrio è ciò che fa alzare il valore di un lavoro teatrale.

Su cosa stai lavorando?
Debutteremo al Napoli Teatro Festival con Sei, un adattamento dei Sei personaggi in cerca d’autore.

E’ la prima volta che partite a un classico…

Come tutte le nostre scelte, nasce da una reale necessità: il bisogno di confrontarsi. In questo momento sentiamo di voler affrontare un classico, che però ha dei punti di contatto evidenti con il nostro lavoro. La scelta di fare proprio questo testo di Pirandello non è casuale, abbiamo individuato delle situazioni su cui sentiamo il bisogno e pensiamo di poter lavorare. A modo nostro, ovviamente.

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