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A immagine e somiglianza di Don Giovanni
a cura di Nicola Bionda
Visto il 17 maggio 2017 al Teatro alla Scala
Don Giovanni





di Wolfgang Amadeus Mozart / Dramma giocoso in due atti / Libretto di Lorenzo Da Ponte / Coro e Orchestra del Teatro alla Scala / Produzione: Teatro alla Scala / Durata spettacolo: 3 ore e 30 minuti incluso intervallo 

Direttore: Paavo Järvi / Regia: Robert Carsen / Scene: Michael Levine / Costumi Brigitte Reiffenstuel / Luci: Robert Carsen e Peter Van Praet / Coreografia: Philippe Giraudeau 

Don Giovanni: Thomas Hampson / Commendatore: Tomasz Konieczny / Don Ottavio: Bernard Richter / Donna Anna: Hanna Elisabeth Müller / Donna Elvira: Anett Fritsch / Leporello: Luca Pisaroni / Zerlina: Giulia Semenzato / Masetto: Mattia Olivieri





Il Don Giovanni di Mozart è sicuramente una delle pagine più grandi della storia della musica. Immensa per la sua grandezza sonora, per le sue invenzioni, per la sua capacità di tradurre in un “dramma giocoso” l’esperienza umana e divina della morte e della colpa; del peccato e della liberazione. Il tutto in una forma di grazia assoluta che probabilmente non ha ancora avuto eguali. 

L’allestimento di Robert Carsen (che aprì la stagione scaligera del 2011) sicuramente lascia il segno, fin dall’attacco dell’ouverture che nella sua semplicità interpretativa è immenso, grandioso, da togliere il fiato. Non si fa in tempo a riprendersi dalla potenza delle prime note che Don Giovanni salta in scena da un palco del teatro e con un colpo solo abbatte, letteralmente, quello che è sicuramente il sipario più conosciuto del mondo; il sipario della Scala. Il simbolo di tutto ciò che ci separa dal dramma che sta per compiersi sulla scena.

Duecento anni di convenzioni cadono così in un solo gesto, potente, maestoso, che ci pone violentemente di fronte alla nostra immagine riflessa in un immenso specchio. Noi guardiamo in faccia Don Giovanni e Don Giovanni guarda noi. Noi diventiamo Don Giovanni, in un immedesimarsi universale, che prescinde da ogni luogo e da ogni epoca. Noi siamo il suo doppio, come lui è il doppio di Leporello. Guadiamo lui e guardiamo noi stessi riflessi in quello specchio, in quel teatro, in quel dramma. Su quei primi accordi solenni, scanditi dagli ottoni, troviamo già tutta la storia. 

Carsen, in questo modo, interpreta perfettamente la grandezza di Mozart e ci obbliga violentemente a farne parte, non ci permette più di stare guardare, in disparte. Non ci permette più di giudicare. L’allestimento è profondamente barocco nelle sue intenzioni quanto asciutto e spoglio nella sua rappresentazione visiva. Una regia complessa che evidenzia bene i numerosi piani di lettura dell’opera in un continuo scambio di ruoli e di punti di vista. Un teatro nel teatro, un teatro come specchio della vita. Come vita stessa. Trionfa il rosso, il rosso dei vestiti, il rosso della passione carnale, del sangue, il rosso dei velluti e dei tendaggi. Il rosso della Scala. 

Grandiosa la scena del cimitero, una delle invenzioni più singolari e innovative generate dal genio di Mozart. L’espressione fisica della morte, la statua del commendatore, la sua voce (una materia sonora densissima di significati) compare smisurata e inumana dal palco presidenziale del teatro. Il teatro stesso, e tutti gli spettatori, sono in quel momento testimoni viventi di quanto si sta compiendo. Il verismo psicologico dei personaggi, che poi è il senso ultimo del “dramma giocoso”, procede sostenuto da una tensione musicale continua che travalica l’umano. 

Thomas Hampson è un Don Giovanni beffardo, sfacciato; vivo. Un personaggio fondamentale da cui nessuno degli altri può prescindere. Senza il quale nessuno può vivere. Non può Leporello, il suo doppio, non può la Donna Anna di Hanna Elisabeth Müller, potente, femminile, erotica. Forse, alla fine, non possiamo neanche noi. Probabilmente è per questo motivo che alla fine Robert Carsen decide di graziarlo, di farlo riapparire, sigaretta in bocca, in fondo all'ultima scena, in fondo al palcoscenico vuoto, mentre saranno tutti gli altri personaggi a sprofondare tra i fumi degli inferi, come se desiderassero, in cuor loro e senza ammetterlo, di essere loro stessi l’oggetto del loro dolore e della loro colpa. 

Non sappiamo se queste interpretazioni del regista sono pienamente rispettose, se rendano fino in fondo le istanze teologiche del dramma mozartiano, ma sicuramente lasciano un segno, un segno profondo. È un Don Giovanni grandioso, dove l’espressione massima del gioco e della commedia si fondono alla massima espressione del tragico in una figura allo stesso tempo profondamente umana e demoniaca.

“Quel diavolo è in tutti noi” diceva Jouve,“ Don Giovanni possiede e ama l’intera sala” perché Don Giovanni vive e “ama” veramente, fino in fondo, ed è questo forse il grande segreto della Musica di Mozart. Alla fine del dramma, dopo gli applausi, ci si chiede come sia possibile che una manciata di note e di parole possano racchiudere una verità cosi complessa e profonda.
  • Don Giovanni ph Brescia e Amisano 
    Don Giovanni ph Brescia e Amisano 
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