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Morire per colpa dello stato secondo Edouard Louis 
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino sabato 15 maggio 2021
TESTO DI ÉDOUARD LOUIS 

CON FRANCESCO ALBERICI 

REGIA DARIA DEFLORIAN E ANTONIO TAGLIARINI;  LUCI GIULIA PASTORE; SUONO EMANUELE PONTECORVO;COSTUMI METELLA RABONI; ASSISTENZA ALLA REGIA CHIARA BOITANI; COLLABORAZIONE ARTISTICA ANDREA PIZZALIS 

PRODUZIONE A.D., TEATRO DI ROMA – TEATRO NAZIONALE, EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE, TPE – TEATRO PIEMONTE EUROPA / FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI E FOG TRIENNALE MILANO PERFORMING ARTS
Leggendo il titolo, Chi ha ucciso mio padre, si potrebbe pensare ad un giallo con tanto di ricerca dell’assassino: non che la scena restituisca qualcosa di cosi diverso, ma la vicenda narrata nel racconto di Edouard Louis, oggetto dell’allestimento firmato Deflorian/Tagliarini, arriva ad assumere una doppia valenza di lettura. Da un lato istantanea cruda e feroce sul rapporto tra l’autore ed il padre, uomo gretto e violento che ha reso la vita della sua famiglia un girone infernale: abitante di un’anonima città nel nord della Francia, l’uomo sfoga su moglie e figli le frustrazioni di una quotidianità vissuta in fabbrica ed esorcizzata tra alcol e razzismo, discriminazioni e violenza. Dall’altro il flusso verbale del protagonista è però anche uno spiazzante j’accuse verso i poteri forti di una società francese, individuata con tanto di nomi e cognomi, responsabile della morte civile del genitore, e di quelli nella sua condizione, attraverso una feroce lotta di classe intrapresa contro gli ultimi che avrebbero dovuto ricevere maggior tutela. Da queste premesse il palco restituisce una vicenda privata che si assolutizza per risolversi nei piccoli grandi drammi di una collettività incapace di controbattere un imperante clima sociale, economico e culturale: già, ma come se ne esce? Miracoli non possono farsi ed allora nell’ultima battuta pronunciata in scena, "ci vorrebbe proprio una bella rivoluzione", ecco forse sintetizzata la ricetta-speranza di un’intera generazione di sconfitti.

Muovendosi in maniera frenetica nello spazio scenico vuoto, sfogando la propria rabbia a forza di calci sul cumulo di sacchi neri riempiti con gli oggetti feticcio della propria vita, la voce narrante dell’ottimo Francesco Alberici riavvolge il nastro di una sofferta esistenza che lo ha visto, da subito, fronteggiare discriminazione e violenze: un padre macho che non accetta l’omosessualità del figlio, fragili equilibri famigliari fondati su continue bugie e minacce, e poi l’incidente in fabbrica che riduce il genitore a poco più che un corpo inanimato spalancando il baratro della disperazione e della solitudine. Flusso monologante di novanta minuti, Chi ha ucciso mio padre si fa apprezzare come spiazzante racconto di storia moderna, pagina di vita famigliare che diventa pretesto per una spietata critica sociale contro le manifestazioni di quel razzismo dalle mille facce, pronto ad abbattersi su scelte sessuali, politiche salariali e violenze di ogni tipo, innescando un corto circuito di disperazione i cui responsabili, nella coraggiosa lettura proposta dall'autore,  sono tanto conosciuti quanto impuniti.
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