Con Zoe Pernici, Elena Boillat e Barbara Mattavelli / Voci follower Valeria Bono, Giovanni Calò e Federico Rubini / Voce madre Matilde Vigna
Sound design e musiche di Federica Furlani / Movimenti scenici di Elena Boillat / Costumi di Nadia Gini / Light design di Silvia Laureti e Isadora Giuntini / Grafiche Ehsan Mehrbakhsh
Una produzione DOMESTICALCHIMIA
Con il sostegno di Ilinxarium Residenze Artistiche, Cantiere Moline (ERT), Teatro I Macelli No-theater
Durata 70’
Il teatro che punta sull’attualità, affrontando fenomeni sociali ancora difficili da interpretare, è sempre molto rischioso. Soprattutto se il tema, come nel nostro caso, è quello della tendenza dei giovani (ma non solo) a isolarsi dalla vita sociale per dedicarsi esclusivamente alla realtà virtuale che viene fornita loro da internet. Il teatro però con la sua forza emotiva coinvolgente rappresenta pur sempre un elemento positivo per sensibilizzare gli spettatori – senza la pretesa di darne una spiegazione – anche sul fenomeno, molto diffuso in Giappone, definito “hikikomori” in crescita anche nel nostro paese, con le derive autolesionistiche, più tragiche e recenti, della cosiddetta “blue whale”, di provenienza russa.
Anita, la brava Zoe Pernici, si muove su una scena vuota. Non esiste scenografia, le attrici sono anche mimi che fingono di spostarsi nelle stanze di un appartamento inesistente (cucina, bagno, camera da letto...), ma che ciononostante sono capaci di creare un senso di angosciante claustrofobia. Perché ci si rende conto ben presto che i confini non stanno nelle pareti ma nella mente della protagonista. La realtà è costituita dai rumori fuori scena, il cliccare sulla tastiera del computer, i meccanismi elettronici, le voci dei follower, la musica. Una realtà che dura poco e svanisce nell’aria.
Apparentemente più concreta, l’immagine della sua amica virtuale, Samantha (Sam), interpretata con efficacia da Elena Boillat. Un personaggio davvero riuscito, un mix tra un cartone animato (Jessica Rabbit per farsi un’idea), un’icona di pin up con mossettine, atteggiamenti ed espressioni stereotipate e una bambola gonfiabile. Che praticamente parla solo con il corpo.
La Signora (l’attrice Barbara Mattavelli) condurrà Anita sull’orlo della paranoia, facendole credere di essere vittima di una congiura ordita dalla razza aliena dei Rettiliani. In una frase della protagonista sta il senso profondo della sua esperienza: “La paura della paura genera altra paura”, svelando, in tal modo, il circolo vizioso – spesso alimentato anche dal potere – per condizionare e limitare le nostre libertà.
E dalla paura si passa al sospetto per arrivare, quindi, alla perdita di fiducia e all’idea di non avere più persone o ideali nei quali potersi riconoscere. Anita ucciderà, seppure virtualmente, anche la sua amica più intima, Sam, cancellando così i suoi ricordi d’infanzia che ad essa erano legati. È, sostanzialmente, la perdita del proprio sé e con esso il suo stesso equilibrio psichico.
Appena accennato il rapporto con i genitori, un padre morto quando Anita era bambina e una madre che sembra esserle vicina ma evidentemente non riesce a capire ciò che la tormenta nel profondo, limitandosi a procurarle il cibo.
Curiosità
In Italia, gli autoreclusi, dipendenti dalla rete, sarebbero oltre 240.000 (la maggioranza dei quali al di sotto dei 16 anni). Valentina Di Liberto, sociologa, dopo lo spettacolo ha presentato la Cooperativa Hikikomori Milano che si occupa di questo fenomeno. Interessante anche il contributo del prof. Gabriele Catania, psicoterapeuta presso l’Ospedale Sacco di Milano, che ha sottolineato come i genitori spesso abbiano responsabilità per il verificarsi di questo atteggiamento di autoesclusione dal mondo reale. Si tratta di difetti nella relazione, iperprotettività e modalità educative troppo esigenti.
Il contouring perfetto @Ehsan Mehrbakhsh