traduzione e adattamento Emanuele Aldrovandi
con (in ordine alfabetico) Elena Aimone, Lorenzo Bartoli, Vittorio Camarota, Marta Cortellazzo Wiel, Jacopo Crovella, Christian di Filippo, Fabrizio Falco, Maria Lombardo, Sara Putignano, Marcello Spinetta, Andrea Triaca, Jacopo Venturiero
regia Silvio Peroni; scene Gregorio Zurla; costumi Veronica Pattuelli; luci Valerio Tiberi; musiche Oliviero Forni
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Di bolla si parla perché sembra che la vita proprio in questi ampi spazi borghesi abbia deciso di concentrare tutti i suoi articolati disegni, da schermaglie amorose e matrimoni con fatica combinati, ma alla fine saltati, a malefiche trame ordite con cattiveria e violenti tensioni prossime a sfociare in tragedia: al ritorno da una guerra c’è adesso spazio per un microcosmo di umanità sognante dove uomini e donne vivono la loro vita senza filtri, confessano più o meno goffamente sentimenti e pulsioni amorose, architettano loschi imbrogli che rischiano di compromettere delicati equilibri a fatica costruiti. Ben consapevole di come lo stesso Shakespeare abbia volutamente giocato sulla vacuità, sul nulla, che solo in apparenza attraversa le nostre esistenze, Silvio Peroni immagina un allestimento all’insegna della coralità dove se da un lato fa capolino l’idea di un teatro rappresentativo di vizi e virtù di parte della società umana, dall’altro si strizza più volte l’occhio ad un presente cui ci si avvicina ora con inserti musicali rock, ora servendosi di un funambolico linguaggio che di molto attualizza i personaggi: l’inevitabile happy end finale, con tanto di unione per le due coppie e collettivi riappacificamenti, nient’altro è se non la conferma della precarietà di fragili equilibri dove basta una frase in più, un’idea appena abbozzata, per sconvolgere progetti ed abbattere sogni, salvo poi rimescolare il tutto, riaffermando imperfezione e debolezza di un essere umano succube del potere della parola.
Tutto questo in scena si traduce in due ore abbondanti di un teatro, all’insegna del cromatismo visuale e della grande vivacità interpretativa, ben sostenuto da una recitazione capace di strappare più di una risata, senza mai distrarre più di tanto l’attenzione dal generale senso di precarietà che sottende alle azioni dei personaggi: e se Marcello Spinetta e Marta Cortellazzo Wiel, Jacopo Venturiero e Sara Putignano, ben incarnano l’amore nelle sue possibili declinazioni, l’intero cast assolve a pieno al proprio compito con Vittorio Camarota surreale maschera, dal bergonzoniano eloquio, ad incarnare la tipica comicità scespiriana con cui alcuni personaggi vestono i panni di veri e propri funamboli della lingua.
Il pubblico mostra di gradire e ripaga tutti con convinti e meritati applausi in una serata che, prestando attento orecchio ai commenti in uscita, miglior sintesi non poteva trovare di quella espressa da uno spettatore intento a chiedersi "ma in fondo cosa è successo e cosa ci hanno raccontato? Nulla": un'indiscussa e condivisibile verità che ci permettiamo di completare con un forse poco conciliante "un nulla su cui sarebbe bene, ancor oggi, riflettere…".
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