In attesa del debutto, in programma al Teatro Astra da sabato 12 a domenica 20 novembre, abbiamo approfittato di un pausa delle prove per rivolgere ad Andrea De Rosa alcune domande legate alla messinscena come alle attese ed alle aspettative che accompagnano la sua nuova avventura professionale.
Scritto da due autori e diretto da due registi, cui si deve aggiungere il significativo apporto di una dramaturg, Processo Galileo deve considerarsi operazione collettiva, lavoro di gruppo che ha previsto il coinvolgimento diretto di molte teste pensanti ciascuna depositaria di un personale indirizzo progettuale: da dove nasce l’idea di un simile progetto, significativa novità nel modus operandi del teatro italiano?
"La cosa più semplice ed immediata da dire è che è stato l’argomento a scegliere noi, e non viceversa, se consideriamo come la nascita di questo progetto sia stata per certi aspetti occasionale. Parlando con Fabrizio Sinisi della possibilità di lavorare ad uno spettacolo sul rapporto scienza/verifica scientifica, scopro essere il medesimo ambito cui lo stesso Sinisi stava approcciando con Angela Dematté e Carmelo Rifici: a distanza di qualche settimana entro in contatto con Carmelo, il cerchio si chiude ed iniziamo a prender in considerazione l’idea di lavorare insieme. Ci siamo trovati subito concordi nell’idea di cimentarci intorno a questo argomento, secondo un’esigenza, per quanto mi riguarda, dettata dalla volontà di indagare il rapporto con quell’apparato tecnico scientifico nel corso della pandemia diventata presenza costante della nostra quotidianità. Nella mia personale visione, in quei lunghi mesi di isolamento forzato, di fondamentale è successo che la tecnologia applicata alla scienza abbia indirizzato la politica, le abbia detto come ci si dovesse comportare: ricordo al proposito numerose testimonianze di uomini politici, su tutte quella dell’allora premier inglese Johnson che usò il termine abiurare proprio come Galileo. Il politico che fa un passo indietro per un cambiamento epocale già nell’aria, e che il contesto pandemico ha di fatto inevitabilmente accelerato”.
Scienziato e uomo di lettere, Galileo ancor oggi rappresenta una possibile chiave di lettura del pensiero occidentale moderno: gli effetti delle tesi scientifiche, al pari del suo approccio all’universo della religione, sono ancora molto evidenti nell’interpretazione della nostra realtà. Quali, a suo parere, gli aspetti di maggior modernità della figura di Galileo?
"Abbiamo lavorato tanto sul grande scienziato quanto sul riconoscimento del fatto che una sua grande innovazione sia stata aver inaugurato un metodo scientifico, modo di pensare secondo cui l’esperienza sensibile debba dettar legge su qualunque altra possibile legge filosofica, morale o religiosa. Se tra i gesti simbolici del personaggio Galileo tutti ricordiamo quello del puntare il cannocchiale, fondamentale di per sé non è tanto l’azione quanto che quel gesto sia indirizzato verso le stelle: da questo momento in poi, sembra suggerirci Galileo, tutto è visibile, chiunque può di fatto metter occhio al cannocchiale e vedere come è fatto il mondo. Un gesto rivoluzionario che ribalta la prospettiva, perché toglie la terra dal centro dell’universo e soprattutto toglie peso a quell’autorità ecclesiastica fino ad allora esclusiva depositaria di specifiche verità. Rispetto a Giordano Bruno che ha pagato con la vita la strenua difesa di una verità morale, con Galileo si arriva all’affermazione della verità scientifica, al dato oggettivo che noi consideriamo vero indipendentemente da chi lo osserva”.
Sul giudizio della storia riferito a Galileo ha sempre indubbiamente influito la sua personalità "ingombrante", approccio alla vita che al tempo stesso ha rappresentato elemento di indubbio fascino ed interesse: dove nel vostro lavoro, se presente, il punto di equilibrio tra lo scienziato e l’uomo?
"Il Galileo storico è presente soprattutto nella prima parte dove ci siamo attenuti al resoconto di testimonianze e documenti originali: nella seconda parte questo Galileo diventa lo scienziato dei nostri giorni, mentre nella terza, più proiettata verso il futuro, ci troviamo di fronte ad un ipotetico suo erede, ad un uomo che ha preso il potere ribaltando il rapporto di sudditanza verso il quale Galileo aveva tanto combattuto ai suoi tempi. Se all’inizio è in rilievo l’aspetto scientifico e rivoluzionario della sua figura, con il passar dei minuti ne approfondiamo anche l’analisi da un punto di vista dell’uomo che cerca di portare più luce nella visione della sua ed altrui vita".
La "regia a quattro mani" è esperienza stimolante, se immaginata dall’esterno, quanto rischiosa, se vissuta dall’interno, se è vero che ciascun regista legge ed interpreta il testo secondo la personale sensibilità. Insieme a Carmelo Rifici da quale prospettiva siete partiti e verso quale direzione vi siete indirizzati?
"Da un punto di vista drammaturgico abbiamo subito individuato un preciso personaggio, quello di Angela, assimilabile al nostro punto di vista, entità depositaria del desiderio di ricerca attraverso la figura di Galileo. Più in generale tanto io quanto Carmelo ci siamo fatti sempre guidare dalla parole della ricerca, attraverso un lungo e costante lavoro di documentazione. Da un punto di vista scenico, invece, si è immaginato uno spazio comune, libero ed aperto: per quanto ci sia sempre stata una direzione dei lavori collettiva alimentata di continui confronti, nella prima parte si è volutamente lavorato insieme, la seconda è stata curata da Carmelo, nella terza ho diretto io".
Processo Galileo segna il suo primo incontro con il teatro torinese come direttore artistico della Fondazione TPE: un ruolo che l'assorbirà non poco portandola a conoscere ed interagire con un pubblico nel corso degli ultimi anni al centro di un’interessante processo di educazione teatrale. Al di là delle singole scelte programmatiche, quali le personali aspettative per questa nuova esperienza ?
"Da un punto di vista organizzativo sin dal primo giorno mi trovo a lavorare con uno staff eccezionale, sia da un punto di vista professionale che umano: quanto alla programmazione, non conoscendo all'inizio bene il pubblico, mi sono reso sempre più conto di trovarmi di fronte ad una platea di spettatori molto attenta e curiosa. Intendo puntare molto sulla cosiddetta continuità tematica e proprio per questo ho presentato un progetto biennale per poter raccontare agli spettatori il percorso che intendo fare con loro: volendo evitare l’effetto contenitore di molti teatri, mi piace l'idea di coinvolgere in questa direzione anche gli stessi artisti che saranno chiamati a collaborare in prima persona.
se quest’anno la continuità tematica è indirizzata verso l’indagine sul rapporto con la scienza, a seguire cercheremo di scandagliare il rapporto con la verità, volgendo nello specifico il nostro sguardo verso quelle verità scomode che non vogliamo, o che non ci fa comodo, conoscere e vedere".
Produzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE – Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale, Processo Galileo di Angela Dematté e Fabrizio Sinfisi, con la dramaturg Simona Gonella, è diretto da Andrea De Rosa e Carmelo Rifici: in scena Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano con Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi e Isacco Venturini.
Al Teatro Astra una settimana di repliche martedì, giovedì e venerdì alle 21, mercoledì e sabato alle 19.30, domenica alle 17 con biglietti a Euro 25 ed Euro 17: informazioni su www.fondazione.tpe.it.
Prove Andrea De Rosa© LAC Lugano Arte e Cultura-55.jpg