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Elektra, l'eredità di Chereau
a cura di Nicola Bionda
Visto al Teatro alla Scala il 23 novembre 2018
Di Richard Strauss 
Coro e orchestra del Teatro alla Scala 
Produzione Teatro alla Scala in coproduzione con Festival d'Aix en Provence; Metropolitan Opera, New York; Finnish National Opera, Helsinki; Staatsoper Unter den Linden, Berlin; Gran Teatre del Liceu, Barcelona 
Durata spettacolo: 105' 
Direttore: Christoph von Dohnányi (4 novembre) / Markus Stenz (7, 10, 14, 18, 23 novembre) / Henrik Nánási ( 29 novembre) 
Regia: Patrice Chéreau 
Regia ripresa da: Peter McClintock 
Scene: Richard Peduzzi 
Costumi: Caroline De Vivaise 
Luci: Dominique Bruguière riprese da: Marco Filibeck 
CAST 
Klytaemnestra: Waltraud Meier 
Elektra: Ricarda Merbeth 
Chysothemis: Regine Hangler 
Aegisth: Roberto Saccà 
Orest: Michael Volle 
Der Pfleger des Orest: Frank van Hove 
Die erste Magd: Bonita Hyman 
Die zweite Magd/Die Schleppträgerin: Judit Kutasi
Patrice Chéreau è stato un gigante del teatro mondiale, un regista con una profondissima connessione con la città di Milano (allievo di Strehler al Piccolo Teatro e autore di indimenticabili allestimenti alla Scala). Dal 4 al 29 novembre la città e il Teatro alla Scala lo omaggiano riproponendo uno dei suoi allestimenti più conosciuti nel mondo (l’ultimo prima della sua scomparsa nel 2013) l’Elektra di Strauss in una versione indimenticabile, firmata in coproduzione tra il Festival di Aix-en-Provence, il Metropolitan Opera di New York e il Teatro alla Scala. 

Questa Elektra, con l’imponenza metafisica delle scene di Richard Peduzzi, detta un’iconografia nuova e un uso dello spazio e della luce che si impongono come uno dei punti più alti mai raggiunti dalla produzione d’Opera (non si può, guardando queste scene, non ricordare gli spazi di Edward Gordon Craig e di Adolphe Appia). Il dramma vive in una scena riportata alla sua essenza. Liberata a da ogni eccesso, da ogni decorazione e da ogni possibile riferimento temporale o geografico, la tragedia può tornare finalmente a essere universale. Il dramma di Electra e Klytämnesta, ritorna ad essere archetipo di ogni dramma e di ogni conflitto irrisolto e destinato, inevitabilmente, alla distruzione delle parti. La forte componente psicologica evidenziata da Chéreau e la violenza passionale, quasi brutale, dei personaggi del dramma, fanno da contraltare al rigore essenziale della scena e dello spazio. Il contrasto è spiazzante ma è assolutamente perfetto nell’evidenziare e nel valorizzare ogni sfumatura possibile della narrazione. 

La musica di Strauss fa esplodere le tensioni e le pulsioni sepolte e represse nella carne di dei protagonisti. La gestualità immaginata da Chéreau le riporta a noi facendogli superare indenni i secoli e le sovrastrutture accumulate in tutte le precedenti, innumerevoli, interpretazioni. Ricarda Merbeth (Elektra) rimane in scena per tutto il tempo del dramma, senza una pausa, senza soluzione di continuità. Una presenza enorme, tragica, femminile che si scontra con una Klytämnestra algida, elegante, dilaniata dal rimorso per l’uxoricidio di Agamennon e dal rifiuto della figlia; una Waltraud Meier che ormai è parte della storia del Teatro alla Scala (è stata presente per ben sei volte in una prima del 7 dicembre) e che le fa da perfetto contraltare. 

La potenza della partitura è semplicemente commovente. Le esplosioni di timbro e di colore della musica di Strauss travolgono lo spettatore già ammaliato dalla potenza e dalla gestualità degli interpreti, sopratutto di Elektra, che in alcuni momenti, sola sul bordo del proscenio, riesce ad atterrire letteralmente un teatro intero. Se si fosse obbligati, per qualche motivo, a scegliere di vedere un solo allestimento d’Opera in tutta la propria vita, e da quell’unica possibilità si volesse provare a capire cosa può essere veramente il teatro d’Opera, questa Elektra, questo “testamento” di Patrice Chéreau, sarebbe sicuramente una scelta giusta.
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