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Lotta contro l'abbandono l'umanità de LA RAGAZZA SUL DIVANO
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Carignano di Torino martedì 12 marzo 2024
di Jon Fosse 

traduzione Graziella Perin; regia Valerio Binasco

con Pamela Villoresi, Valerio Binasco, Michele Di Mauro, Giordana Faggiano, Fabrizio Contri, Giulia Chiaramonte e con Isabella Ferrari

scene e luci Nicolas Bovey;  costumi Alessio Rosati; suono Filippo Conti 

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Biondo di Palermo. In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di Colombine Teaterförlag
Sette personaggi senza nome, privi della minima identità e quindi identificabili con ogni spettatore, abitano le stanze de La ragazza sul divano di Jon Fosse, nuovo incontro tra Valerio Binasco ed il drammaturgo norvegese per un dramma famigliare sviluppato con passato e presente intrecciarsi tra loro: fino a pochi anni addietro teatro poco conosciuto, e ancor meno rappresentato, la lingua di Fosse è in apparenza scrittura minimalista, del tutto priva di azione, cui l’etichetta di teatro di parola rischia di render solo parzialmente giustizia. 

Se è vero, infatti, che anche ne La ragazza sul divano è la parola a riempire la scena con il racconto degli spettri che la abitano, è altrettanto innegabile come la stessa verbosità sia terreno fertile per un sottotesto pronto ad attraversare la scena con fulminee ed ossessive incursioni: nel caso di specie l’incubo di una Donna pittrice, in una delle rare uscite dalla sua casa prigione, è quello di rivedersi da ragazza nel casuale incontro avvenuto per strada con una giovane. Una Donna ormai matura che in un gioco di specchi ritroviamo Ragazza, rannicchiata sul divano, attrice consapevole di un’esistenza apatica fra i marosi della collettiva tempesta che la vede agognare minime attenzioni da un Padre marinaio sempre in giro, da una Madre pronta a rimpiazzare il marito con lo Zio, e da una Sorella che ha scelto di vivere da "puttana" per sottrarsi al clima di abbandono che investe la famiglia. Da queste premesse si materializza un teatro di fantasmi, ectoplasmi che a spasso nel tempo smascherano ipocrisie e tradimenti, (auto)denunciano vigliaccherie e degenerazioni sbattute loro in faccia dalla vita: a ciò si aggiunga la riapertura di cassetti della memoria occupati da ingombranti frammenti del passato che ritornano con il pesante fardello di ricordi e rimpianti.

La scena di Nicolas Bovey, spazioso interno con frigo, lavatrice, tavolino, un paio di sedie e il divano del titolo, si apre sullo sfondo per definire l’alcova dove Madre e Zio consumano fugaci amplessi, salvo poi tornare in primo piano a recitare la tragedia della vita, tutti travolti da un tempo che in Fosse si dilata a dismisura, riempiendosi di silenzi e malinconie: teatro allusivo, ancor oggi crediamo lontano dalle corde dello spettatore medio italiano, che il Binasco regista indossa come seconda pelle assecondando il ritmo di una scrittura a tratti cupa, a tratti irruenta, sempre enigmatica e per questo da affidare ad interpreti in grado di non farsi schiacciare.
Pericolo in parte scampato a giudicare dalle prove di un cast che ha nella Madre di Isabella Ferrari una creatura contradditoria ed anaffettiva alla disperata ricerca di amore, mentre la Donna di Pamela Villoresi, al netto di un volume a tratti urlato e molto poco "fossiano", è artista incompresa ed incapace di amare il suo Uomo tratteggiato mite e dimesso da Valerio Binasco. Ed ancora la Ragazza di Giordana Faggiano tanto imbronciata quanto desiderosa di serenità, esatto contrario della Sorella che Giulia Chiaramonte tratteggia come figlia ribelle decisa ad esorcizzare il complesso dell’abbandono genitoriale con una condotta di vita libertina ed immorale: fin qui le quote rosa di uno spettacolo che ha anche in Michele Di Mauro lo Zio consolatore e in Fabrizio Contri l’arrendevole Padre capace con le sue lunghe assenze di inimicarsi tutti, salvo poi uscire subito di scena scoperto il tradimento coniugale.

A tutti loro è richiesto di impegnarsi a fondo per ricercare quella verità necessaria a colmare i "vuoti" della pagina scritta in un testo, a nostro parere non il meglio riuscito del Fosse drammaturgo, manifesto di un teatro sospeso dove sopravvive un’umanità concreta e reale come all’interno di un sogno dai foschi ed inquietanti contorni.
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