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E se OTELLO non fosse più una tragedia?
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Gobetti di Torino venerdì 20 gennaio 2023
di William Shakespeare 

traduzione Emilio Cecchi e Giovanna Cecchi 

regia Jurij Ferrini 

con Jurij Ferrini, Rebecca Rossetti, Paolo Arlenghi, Sonia Guarino, Maria Rita Lo Destro, Agnese Mercati, Federico Palumeri, Stefano Paradisi, Michele Puleio 

scene Jacopo Valsania;  costumi Agostino Porchietto; luci Jacopo Valsania e Gian Andrea Francescutti; suono Gian Andrea Francescutti – Servizi Teatrali s.r.l.; assistente alla regia Carla Carucci 

Progetto U.R.T. / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale 
Leggi Otello e subito pensi al generale veneziano, detto il Moro, cui la Serenissima affidò gesta belliche e sorti politiche, salvo poi egli stesso cader vittima di una cieca ed insana gelosia verso l'amata Desdemona: leggi Otello e pensi al luogotenente Iago, diabolica incarnazione di un potere a lungo agognato e vissuto dalla prospettiva della delazione e dell’inganno: ed ancora, leggi Otello e pensi all’isola di Cipro, cornice naturale della tragedia di William Shakespeare, isolato avamposto nel mar Mediterraneo teatro di una vicenda che mescola le ragioni del cuore a quelle del potere.
Poi, un bel giorno, ti imbatti nell'Otello diretto ed interpretato, tra gli altri, da Jurij Ferrini e scopri da un lato che la negritudine del protagonista si riduce ad una richiamo tribale sul volto e ad un outfit tutto black, dall'altro che "l'Onesto Iago" ha in scena le fattezze femminili di un'interprete donna, e che la Cipro del Bardo si riduce ad una serie di pedane su cui i personaggi si muovono ed agiscono con dietro un fondale policromo a scandire luci e ombre del giorno. A tutto questo si aggiungano un impianto registico e recitativo, per tre quarti delle due ore e venti tutte filate, più vicino alla commedia che alla tragedia con non pochi momenti in cui dalla platea si levano convinte risate.

Spiazzamento iniziale a parte, l'Otello di Ferrini è spettacolo fuori dal tempo, versione volutamente avulsa dal suo originale contesto per rivivere in un non luogo e in un non tempo che le divise militaresche dei personaggi, e gli inserti musicali dei Doors, possono avvicinare ad un recente passato: nella tragedia della gelosia per definizione, sono in realtà l'amore e il suo opposto, il non-amore più che l'odio, i motori trainanti una vicenda che ha in Ferrini un Otello umanissima maschera di uomo fragile e disincantato, incarnazione di una passione amorosa che riversa anima e corpo sulla sua Desdemona, al pari dell’impegno con cui gestisce milizie ed affari politici. E se per gran parte dello spettacolo è l’amore a scorrere nelle sue vene, indirizzandone parole ed azioni, solo nel finale quella stessa linfa si trasforma in mortale veleno, mutandone la natura in quella di un uomo accecato da gelosia e rancori, del tutto incapace di liberarsi dalle oscure trame ordite da Iago. A sua volta, l’alfiere prediletto, nella sorprendente ed interessante versione di Rebecca Rossetti, più che diabolica versione del male assoluto, è mefistofelica incarnazione di quel fool, folletto, che in versioni sempre differenti tanto abita il teatro scespiriano: senza ricorrere a magie o ad incantesimi, "la" Iago offusca le menti di un’intera comunità seminando, talvolta ai limiti del grottesco, la polvere magica di un sospetto e di una delazione pronta a spargersi nell’aria per annebbiare la vista di Otello, dei sodali Cassio e Roderigo e di tutti gli altri personaggi che, con modalità ed esiti diversi, finiscono per rimanerne impigliati nella torbida ragnatela. Unica all'apparenza fuori dal coro, o forse la prima a cadere prigioniera senza aver la forza di liberarsi, la sognatrice Desdemona di Agnese Mercati, incarnazione dell’amore puro ed agnello sacrificale in un disegno di morte che alla fine non risparmia nessuno.

C’era una volta Otello, la tragedia, e oggi c’è l’Otello black comedy dall'inevitabile funesto esito che il pubblico mostra di gradire, tributando a tutti gli interpreti rumorosi e ripetuti applausi, al termine di un viaggio nell'amore e nella sua negazione che se non può non interrogare e spiazzare lo spettatore, al contempo riafferma la presenza di pulsioni, da sempre radicate nell’animo umano, capaci di tragicamente indirizzarne azioni e comportamenti.
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