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Passato, presente e (forse) futuro nella CASA DI BAMBOLA di Filippo Dini
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Carignano di Torino venerdì 8 ottobre 2021
di Henrik Ibsen 

con Filippo Dini, Deniz Özdoğan, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Eva Cambiale, Fulvio Pepe 

regia Filippo Dini; scene Laura Benzi; costumi Sandra Cardini; luci Pasquale Mari; musiche Arturo Annecchino; aiuto regia Carlo Orlando 

Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Bolzano
Con il sostegno di Fondazione CRT
Secondo un vecchio adagio a Natale si è, o almeno si dovrebbe essere, tutti un po’ più buoni: diceria di un tempo che immaginiamo Henrik Ibsen non conoscesse nello scrivere "l’italiano" Casa di bambola, dramma a tinte forti composto nel nostro paese nel 1879, ancor oggi in grado di spiazzare per l’irruenza di un messaggio dalla disarmante modernità.
Una forza contemporanea evidente nell’allestimento che Filippo Dini dirige ed interpreta, ambientando l’azione a fine anno nel luminoso interno borghese al cui centro campeggia un enorme pianta che sfonda il tetto, la scena è di Laura Benzi, albero della vita di biblica memoria, ma anche abete cui appendere ninnoli natalizi, in una casa dove la vita sembra sempre più spegnersi: spettacolo ricco di simboli, la scena come le canzoni di Mina, la recitazione ora nervosa ed accelerata, ora marionettistica e rallentata, per il ritratto di un tormentato universo famigliare dove di bambole in carne ed ossa, nella casa dell’avvocato Helmer fresco di investitura come direttore della banca azionaria, scopriamo essercene tante.

A partire dalla protagonista, la Nora Helmer dell'adrenalinica Deniz Özdoğan, in passato pronta a falsificare la firma del padre sulla ricevuta data ad un aguzzino, pur di procurarsi il denaro per curare il marito, oggi chiamata a fare i conti con un presente che "batte cassa", il Krogstad che rivuole i soldi ma soprattutto la sua vita che esige chiarezza. Non ci pensa troppo Nora, ed al termine di un finale in crescendo dalla non trascurabile forza emotiva, sceglie di svestire i panni della bambola per diventare donna, forse per la prima volta, abbandonando marito e figli all’inseguimento di un futuro tutto da scrivere dove finalmente vivere libera da quell’etichetta che l’ha vista prima figlia/bambola e poi moglie/bambola: figura a lungo controversa, protofemminista su cui si è in passato abbattuta la scure della censura, la Nora della Özdoğan è creatura mutevole. Se all'inizio il marito la dipinge come spendacciona, con il passare dei minuti diventa moglie ferma nei suoi propositi, pur se in evidente difficoltà nel difendersi da un passato che si ripresenta nelle fattezze del procuratore Krogstad di un cinico Andrea Di Casa, o con la ritrovata amica Linde che Eva Cambiale ben caratterizza come elemento collante nelle relazioni tra i diversi personaggi.
Non meno "bambole" sono lo stesso Torvald Helmner che Filippo Dini, rispetto agli abituali canoni rappresentativi, ammorbidisce in una resa scenica più indirizzata a rendere la meschinità che la cattiveria del personaggio, o il Dottor Rank, l’amico di famiglia dal destino segnato che Fulvo Pepe impreziosisce di humour nel suo intendere la vita come condanna necessaria: unica eccezione la bambinaia Anne Marie della servizievole Orietta Notari, in mezzo a tanti "stranieri in casa" la sola regina del focolare che accudisce i tre figli degli Helmer per i quali, si può immaginare, diventerà in futuro il punto di assoluto riferimento. 

Se un pregio va riconosciuto alle tre ore di spettacolo, questo risiede nell’aver voluto soffermarsi sullo spietato gioco di relazioni che lega i personaggi, e che molto ce li rende vicini: Torvald e Nora sono marito e moglie che si scoprono non essersi mai conosciuti, cosi come Nora e il Dottor Rank sono amici di lunga data con l'uomo, in articulo mortis, spinto a confessare un amore nascosto per anni. Ed ancora Linde e Krogstad, in gioventù molto vicini, l’una di fronte all’altro si trovano a potersi giocare la seconda possibilità che per entrambi sa tanto di ultima spiaggia. Assodato che nella determinazione di Nora risieda la conquista della libertà universale, la galleria umana di Ibsen diventa così il manifesto di un’atavica incomunicabilità tra i sessi, incapacità o non volontà di venirsi incontro, di abbandonare la turris eburnea su cui spesso ci si arrocca, salvo poi sprofondare nella più disarmante solitudine.
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