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Ritratto d'attore: intervista ad Angelo Di Genio
Si diploma presso la Scuola d'Arte drammatica Paolo Grassi di Milano nel 2005. Perfeziona la formazione con Massimo Castri per poi partecipare a molti spettacoli del regista, quali; Alcesti, Così è se vi pare, Tre sorelle, La presidentessa. Da un paio d’anni è di casa presso il teatro Elfo Puccini. È stato uno degli "History Boys" esattamente il leader della classe Dakin, vincitore del Premio UBU 2011 come miglior attore Under 30. Mentre quest’anno era in scena, sempre presso il teatro Elfo Puccini, con Morte di un commesso viaggiatore. Lo ricordiamo inoltre in Freddo di Lars Norèn regia di Marco Plini e in In Exitu di Testori regia Lorenzo Loris. Per la TV ha partecipato in diverse serie quali: Ris 5, Terapia d’urgenza e Butta la luna 2. Per la stagione 2014/2015 è stato lui a proporre al teatro Elfo/Puccini lo spettacolo Road Movie di Godfrey Hamilton che ha debuttato a Viterbo (estate 2013) al Festival Quartieri dell’arte fondato da Gian Maria Cervo, testo scritto per la compagnia angloamericana Starvig Artist Theater che ha vinto nel 1995 il Fringe First Award al festival di Edimburgo.
 
Stiamo parlando di Angelo di Genio e l’abbiamo voluto incontrare alla vigilia del suo debutto con Road Movie presso la Sala Bausch del teatro Elfo Puccini dal 18 al 27 novembre 2014, per la regia di Sandro Mabellini, compagno di scena il violoncello suonato da Piero Salvatori.
Angelo, dopo averti applaudito in In Exitu cominciamo a pensare che ti piace interpretare storie estreme?
Lo prendo come un complimento. E comunque sì, sono le storie a cui credo sia più importante dare voce. Sono anche, fra quelle che mi sono state proposte, quelle che mi hanno affascinato tanto da scegliere di volerle raccontare. Nell’estremo c’è l’esempio, c’è l’eroe (sia positivo che negativo) che proprio per il suo essere estremo diventa epico; è rappresentante non solo della sua singola storia ma spesso di quella di intere generazioni.


Difatti protagonista di Road Movie è Joel, alcolizzato trentaquattrenne giornalista di New York.


Chi è esattamente Joel?
Joel è stressato dal lavoro, da se stesso e da una società frenetica e confusionaria che ti spinge a essere in preda ai tuoi bisogni. È orfano ed è figlio di un mondo anaffettivo, sordo, privo di alcuna empatia, un mondo individualista che spinge le persone verso la misantropia e il timore del futuro. È un ragazzo che non si fida, che non riesce ad aprirsi con nessuno, che agisce per sovrastrutture, che vive di una finta cordialità. Ma soprattutto, che confonde sesso e sentimento: desidera l’amore, che vede come meta per la felicità, eppure lo cerca dove mai lo troverà, frequentando locali e batuage che gli offrono, al massimo, un po’ di sesso occasionale.
Joel assomiglia a molte persone che vedo intorno a me e mi ricorda una strada che io stesso avrei potuto prendere facilmente: trentenni persi in un circolo vizioso autodistruttivo tra sesso, droghe, alcool, locali, escort, darkroom, alla ricerca di uno stimolo sempre più estremo, per riuscire a «sentire qualcosa». Ma questa, come l’autore del testo Godfrey Hamilton scrive, è «una strada accidentata con la fine (ovvero la morte) sempre ben in vista».
Questo viaggio, questo road movie di nome e di fatto, è il proprio percorso che gli farà comprendere quanto sdrucciolevole è la strada che aveva intrapreso, e quanto solo la condivisione delle proprie paure con il prossimo sia il rimedio per superarle.


Road Movie è un viaggio, ambientato negli Stati Uniti degli anni novanta, intrapreso da Joel alla ricerca di Scott...
Scott ha 28 anni, vive a Sausalito (California), è un giovane poeta e giornalista d’assalto che incontra Joel, molto ubriaco, a un vernissage e alla fine lo ospita in casa sua per un paio di giorni.
Al contrario di Joel, Scott crede nell’amore, nella condivisione, nel dialogo, è molto affettuoso e possibilista del cambiamento, a partire dal volere più bene a se stessi. Ma non voglio raccontarti di più...


In Road Movie il talento e la passione di Angelo sono messi a dura prova, un vero e proprio tour de force.


Quali sono le difficoltà nell’interpretare un ruolo come quello di Joel e non solo Joel?
Sai, Joel non è cosi lontano da ciò che vedo intorno a me e che forse mi appartiene, da un lato. La mia difficoltà più grossa è rendere sulla scena gli incontri che il personaggio fa durante il viaggio. Il tour de force sta lì.
Io interpreto tutti i ruoli, quindi cinque personaggi, e quando questi dialogano tra di loro è importante essere precisi e mantenere una linearità anche durante dialoghi serratissimi. Sicuramente lavorare con un violoncellista e pianista (l’eccezionale Piero Salvatori) aiuta a posizionare i paletti del racconto, così intenso. È un flusso emozionale meraviglioso, un viaggio per l’attore stesso, che deve attraversare momenti di paura, imbarazzo, e si trova totalmente esposto, facendosi portavoce e guida per lo spettatore nel medesimo viaggio di Joel. Per me Road Movie non è solo un testo di teatro: è un esperienza, anche per chi vi assiste dalla platea.
Come ha detto Ian Shuttleworth del Financial Times “un esperienza gloriosa”.


Road Movie è un testo che parla di omosessualità e di storie legate all’AIDS. Ci vuoi raccontare qualcosa di più su questo viaggio coast to coast? 
Il testo comincia con la presentazione della coppia di protagonisti, Joel e Scott, poi ci mostra il viaggio di Joel che in cinque giorni attraversa gli Stati Uniti da costa a costa: dall’Atlantico, New York a San Francisco, per rincontrare il suo Scott e l’oceano, il Pacifico. Questo è anche un viaggio interiore per Joel, un viaggio lungo nel quale affronta le paure che gli impediscono di rapportarsi agli altri (la poca fiducia nel prossimo, la paura di amare, della malattia, della morte). E come in tutti i viaggi, gli incontri fanno la differenza: anche in questo caso sono proprio ciò che permette a Joel di affrontare i temi che lo spaventano, facendolo crescere. E così la valigia con cui è partito si riempie progressivamente di oggetti, di ricordi di questi incontri. Aumenta fisicamente il suo bagaglio, parallelamente alla sua esperienza, conoscenza; acquisisce fiducia in ciò che può essere e può fare.


Qual è l'aspetto che ti affascina di più del tuo personaggio e cosa vorresti che si portasse a casa lo spettatore dopo aver assistito a Road Movie?
Road Movie è soprattutto un lavoro sulla memoria collettiva, qualcosa di fondamentale oggi: solo ricordando quello che è accaduto nel passato è possibile comprendere il presente per rendere migliore il futuro. 
Road Movie tratta di qualcosa che oggi fa meno paura di qualche decennio fa: il virus dell’HIV. Quest’anno decorre il trentesimo anniversario della scoperta del virus, che è ora più facilmente affrontabile, ma bisogna considerare che negli anni ottanta/novanta attorno a te sparivano amici, figli, colleghi di lavoro, compagni di vita a una velocità disarmante. Un’intera generazione di artisti scompare in quegli anni. Quel dolore, quella sofferenza, ma anche le ingiustizie e come la comunità gay abbia sconfitto certe prevaricazioni, sono cose che non vanno dimenticate. È un valore per tutta l’umanità.
Vero è che condividere storie di questo tipo è scomodo, può anche infastidire qualcuno: associare sesso e morte dà fastidio e per noi italiani ancora di più, dato il retaggio cattolico di associazione amore uguale procreazione e quindi uguale vita.
C’è un vero e proprio dramma ideologico; quando tratti di HIV, AIDS, prevenzione, parli di malattie sessualmente trasmissibili, parli di sesso e il sesso è un argomento di cui qui in Italia si fa fatica a parlare, soprattutto quando è legato al concetto di morte. È tutto ovattato: sentir dire «di AIDS si muore, non dimenticatelo, usate il preservativo» dà fastidio, sembra quasi l’ammonimento del prete a non masturbarsi, o a non dire le parolacce. Tanto sai che lo farai, o che al limite dirai due preghiere e tutto sarà perdonato. Come nel caso delle malattie veneree, c’è l’irresponsabilità di pensare «beh al massimo qualche pastiglia o puntura e passa tutto». 
Questo vale per tutti, ma è vero che la comunità gay vive il sesso in maniera disinibita (vedi Grindr, darkroom e chat dedicate varie) e che spesso e volentieri unisce il sesso all’uso di droghe potenti (mefedrone, crystal, ghb, ecc). È vero che sotto effetto di alcune droghe riesci ad avere prestazioni performanti, e questo ha grande richiamo, ma un recente sondaggio tra i ragazzi milanesi sottolinea che il 60% non prende precauzioni quando è “fatto”, per esempio. Il 90% associa l’HIV all’uso di droghe o alla frequentazione di contesti poco raccomandabili, ma solo a Milano ci sono ben tre nuovi casi di HIV al giorno!!! In Italia campagne di prevenzione dal grande impatto mediatico non vengono realizzate, e anche quando qualcuno decide di realizzarne una, è sempre incentrata sul concetto di “diverso”; ricordiamo quella in cui il malato di HIV veniva rappresentato delimitato da un aurea viola, per esempio.
Bisogna essere più diretti, anche a costo di sembrare crudi, ma io penso sia l’unico modo di far arrivare il messaggio, liberamente. Per affrontare uno stereotipo, bisognerebbe dare informazioni complete utilizzando elementi comunicativi volti a migliorare gli strumenti di ognuno a comprendere la realtà. La conoscenza e l’informazione combattono l’ignoranza e la paura.
Una malattia non è tua responsabilità, a meno che tu non te la sia volontariamente e deliberatamente scelta (ma siamo alla follia).
La colpa, se vogliamo attribuirne una, è del sistema sanitario e sociale che «non te l’ha detto» o meglio «non te l’ha detto abbastanza» o non ha insistito su quel concetto, perché la malattia preesiste a te.


Per lo spettacolo Road Movie Angelo di Genio collabora con la LILA (La lega per la lotta all'AIDS) e grazie alla sua esaustiva e appassionata risposta si evince che tiene molto alla comunicazione del testo rispetto alla prevenzione e alla malattia.


Ma cerchiamo di conoscere un po’ di più Angelo.
Preferisci far sorridere e divertire il pubblico, com’è successo con The History Boys? Oppure far riflettere, e pensare, con spettacoli tipo Road Movie?
Sono due cose molto diverse, è giusto dividersi tra entrambi.


... c’è un ruolo che vorresti interpretare?
Tanti, troppi. Per me ogni spettacolo è un gioco nuovo, una sfida, un viaggio da fare insieme alla compagnia, al regista. Ora porteremo in giro per l’Italia con l’Elfo Morte di un commesso viaggiatore, una storia familiare necessaria da raccontare in questo periodo di crisi. Un'altra gran bella storia da raccontare, a cui tengo molto, con una compagnia straordinaria, di attori e di persone meravigliose.


... un regista con il quale lavorare?
È una domanda difficile, davvero non saprei; io poi ho bisogno di stare bene durante il lavoro, di sentire la fiducia della compagnia, scambiare stimoli reciproci. Potrei elencare nomi di registi di cui mi affascina il lavoro, ma non so se poi sarebbe davvero un piacere lavorarci. All’Elfo, con Ferdinando ed Elio (Bruni e De Capitani), mi trovo sinceramente molto bene, proprio perché c’è quello scambio e condivisione, che per me fa la differenza.


In TV hai interpretato ruoli da cattivo e cinico. Nella vita, com’è Angelo Di Genio? 
Che strana domanda. Potrei essere cattivo e cinico, come lo siamo tutti a vari livelli; potrei essere anche buono e riguardoso... ognuno di noi è molto più sfaccettato di quanto mostriamo agli altri e alla fine ci conosce davvero solo chi si prende il tempo di sfogliarci pagina per pagina.


In un’intervista hai dichiarato che i registi (cinematografici) non vanno più a teatro e non fanno più provini, preferendo disegnare ad hoc ruoli su attori “importanti”. Questo vuol dire che ci sono vere e proprie lobby? Invece in teatro c’è meritocrazia?
Guarda, credo di avere rilasciato quell’intervista alcuni anni fa, vivendo l’ambiente romano: è ciò che subodoravo nell’aria intorno a me. Devo ammettere che negli ultimi anni ho pensato molto più a cosa interessava fare a me in primo luogo. Se devo guadagnare poco, perché ribadiamolo, di questo mestiere si sopravvive a mala pena, preferisco farlo credendo in ciò che faccio, scegliendo le persone con cui voglio lavorare, e non seguendo il sogno sconclusionato di qualcun altro per cui io sono solo una numero fra tanti.


Da più di un anno circola in rete uno spettacolo che s’intitola Il menu della poesia, progetto nato da un gruppo di attori (della compagnia I Mangiatòri) che in abito da maître servono, in ristoranti e luoghi adibiti al food & beverage, poesia ai conviviali intenti a cenare.
Tra I Mangiatòri abbiamo scoperto esserci anche Angelo Di Genio che lo vede protagonista assieme ad un altro “History Boy" Marco Bonadei.


Com’è nata questa collaborazione e perché la scelta di far “ordinare” al tavolo poesie?
Nasce dall'esigenza di dimostrare che la cultura è necessaria come il cibo e che va condivisa in maniera diretta, come strumento di comunicazione qual è. Servendo al tavolo poesie, e non solo cibo, è un modo per portare la rappresentazione a diretto contatto con il fruitore e instaurare con lui un vero e proprio dialogo, facendolo avvicinare al teatro, alla letteratura e all’arte culinaria.


Il vostro motto è: “Al cenno della mano le poesie ti recitiamo”. Ma come reagisce il pubblico, visto il coraggio di “servire” poesie?
Nei più svariati modi, per fortuna prevalgano reazioni positive, ma ci si trova di fronte a forme tra le più svariate e inaspettate. Non dico che si tratti di un esperimento sociologico ma ci si avvicina. Il nostro obiettivo è di portare poesia e letteratura fuori dai teatri e oltre i palcoscenici...


e noi possiamo dirvi che ci stanno riuscendo visto l’appuntamento fisso che da un paio di settimane (di sabato pomeriggio) li vede protagonisti aprendo le puntate della trasmissione radiofonica Piazza Verdi su Radio3.


... per raggiungere il grande pubblico e dispensare a tutti un momento di puro piacere durante una pizza tra amici, una cenetta romantica oppure una pausa tè o caffè, purché gli si dedichi un po' di tempo, dato che la poesia non va mai di fretta. Ormai fermarsi è un lusso, perché non renderlo ancora più piacevole?


Fermarsi davanti ad un talento come Angelo non è un lusso, ma un puro piacere e per questo motivo vi consigliamo di andare ad applaudirlo nello spettacolo Road Movie e se vi andrà di farvi servire una poesia al tavolo, vi rimandiamo alla pagina Facebook, I Mangiatòri, dove potrete vedere cosa ne pensa la gente a cui Angelo e gli altri Mangiatòri hanno servito le loro “portate” e i loro prossimi appuntamenti.


Sosteniamo i giovani talenti e che ci accompagnino nel lungo viaggio dell’arte. Oggi, più che mai, ne abbiamo tanto bisogno.
 
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