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Una patatina nello zucchero
a cura di Giampiero Raganelli
Visto al Teatro Elfo Puccini il 12/12/2017
di Alan Bennett 
traduzione di Maggie Rose e Alessandro Quasimodo 
uno spettacolo di e con Luca Toracca 
collaborazione alla regia Ferdinando Bruni 
luci di Giacomo Marettelli Priorelli 
produzione Teatro dell'Elfo



prima nazionale 
Luca Toracca ringrazia Ida Marinelli per avergli suggerito il testo e Giusi e Giampiero Cleopazzo, Annamaria De Meo, Mariella Aralla che lo hanno sollecitato affinchè diventasse uno spettacolo.
Dal 12 al 31 dicembre 2017

Durata: 55'
Graham sta stirando. Così sorprende il pubblico, in un atto di banale quotidianità, nelle faccende domestiche, Luca Toracca all'inizio, ma anche in azioni teatrali successive, del monologo Una patatina nello zucchero, parte della raccolta Signore e signori di Alan Bennett. Un lavoro che rientra nell'interesse degli ultimi anni del Teatro dell'Elfo per il drammaturgo inglese, dopo The History Boys e Il vizio dell'arte. Già il titolo appare enunciativo, l'accostamento forzato di dolce e salato, un ritratto agrodolce, una commedia amara. Che nel testo gioca con momenti anche molti divertenti, ma anche con elementi sgradevoli, come nella storpiatura delle `lenti bifecali`, o il vomito.

Protagonista è appunto Graham, un uomo di mezza età, che vive una vita quasi di simbiosi con l'anziana madre. Lo dice lui, quasi subito, che vengono spesso scambiati per marito e moglie. Alan Bennett dà voce a uno dei tanti Graham di cui la società è piena, anche se non li vediamo, anche se raramente il cinema, o il teatro, se ne occupa. Un modello considerato perdente nel pensiero comune, per non aver generato una propria famiglia, per non essersi mai staccato dalla sottana, come si dice, della madre, con la quale si mantiene un rapporto considerato morboso. Graham è un personaggio bennettiano puro, un cripto-omosessuale, non lontano per esempio dalla figura di Hector, il professore di The History Boys. Un uomo ormai di altri tempi, escluso dalla società. In un processo inarrestabile di senilità, per cui non a caso è associato all'anziana madre. Un'esistenza sobria che si misura nelle dozzinali decorazioni floreali del divano, nel considerare, in accordo con la madre, volgare il colore rosso, troppo sgargiante nella loro esistenza a tinte pastello, scialbe. 

Il ritratto che Luca Toracca restituisce di Graham, della madre e di altri personaggi della storia, parte da un'ambientazione piccolo-borghese, con una connotazione marcatamente british, vedi il riferimento nei dialoghi al copriteiera di maglia (che ritorna nel testo come le scarpe italiane considerate segno d'eleganza), che ci catapulta subito in un'atmosfera da tè e scones. 

La scenografia è scarna e tripartita, un asse da stiro, un attaccapanni, un divano, un vaso coi fiori, un tavolo imbandito, dei tappeti. Un salottino da cui si può arrivare a una sala da tè. Un giusto abbozzo scenografico per scatenare l'energia teatrale di Luca Toracca. Che fa da narratore in prima persona e dà voce alle battute dei vari personaggi, rimodulando voce e postura, che occupa e si muove nello spazio scenico, che esalta alcuni momenti con l'occhio di bue e stacca con attimi di buio. E confeziona, dopo Il Natale di Harry di Steven Berkoff, ancora un monologo di solitudine, in cui si ride con un retrogusto d'amarezza.
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