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Lo Cascio e Pirrotta: Otello made in sicily


Riscrivere Shakespeare dall’inglese arcaico al siciliano, passando per la metrica

 

Otello-Iago-Desdemona. Cancellato il contesto, i tre appaiono nella loro cruda essenza: anima, corpo e sentimenti, messi a nudo nell’essenzialità di uno spettacolo che offre una nuova prospettiva, spunti interessanti e qualche ridondanza. Luigi Lo Cascio è autore, regista e interprete di questa interessante rielaborazione, a cui la lingua siciliana conferisce vigore e l’interpretazione nuova personalità.
Due sono i perni su cui ruota la sua coraggiosa riscrittura: la lingua e la struttura. Nel primo caso il progetto affronta l’ambiziosa traduzione di Shakespeare in siciliano, mantenendo la metrica del testo. Oltre che notevole opera letteraria, è un gioco di sicuro fascino, basato sulla potenza di una lingua che scorre sull’onomatopea, trascinando lo spettatore sulla scia della suggestione. E se in partenza qualcuno in sala appare spaventato dall’impatto con l’ardua comprensibilità, presto il pubblico viene ipnotizzato dal ritmo del nuovo testo, sorretto dall’energia degli attori. Vincenzo Pirrotta in primis, che si riconferma grande interprete di una tradizione narrativa orale culminante con il cunto, di cui anche qui da brevi saggi. Una lingua ricca, capace di esprimere efficacemente la passione di Otello, ma anche la melliflua insidia di Iago/Luigi Lo Cascio, convogliando l’energia espressiva sprigionata dal primo in un compresso rancore che il secondo indirizza contro il mondo in genere e il femminile in particolare. A latere di questo viscerale (e letale) mondo maschile, Desdemona parla invece un italiano limpido, che rispecchia la sua trasparente verità, senza mascherarla da eroina romantica, ma mostrandone piuttosto il candore di giovane donna, fanciullescamente infatuata per il potente guerriero. Priva di coscienza del mondo, è pertanto totalmente imbelle e facile preda di macchinazioni e tradimenti.
Rivoluzionario anche nell’impianto, questo nuovo Otello si basa in effetti sulla destrutturazione dell’originale: Lo Cascio ne smonta la consequenzialità, e dando vita ai personaggi in quanto tali ne fa saltare la linea temporale. Sullo sfondo di metaforiche proiezioni animate (bachi da seta a costruire il maledetto fazzoletto, un ragno che tesse la sua tela…) ecco dunque la scena dell’assassinio avvenire due volte: una prima, struggente agonia della vittima nell’attimo in cui prende coscienza della propria fine (encomiabile Valentina Cenni, distesa immobile, sola in scena a raccontarsi). E una seconda, registrata nel delirio rancoroso di Otello.
Parte dello stesso schema è anche la meno convincente figura di un soldato (Giovanni Calcagno), narratore super partes chiamato condurre le fila della storia ricomponendone i frammenti di una vicenda qui espressa in brevi dialoghi o flussi di coscienza. Escamotage questo, che risulta didascalico – senza nulla togliere all’interpretazione dell’attore, peraltro – in una storia universalmente conosciuta, i cui nessi emotivi sono ampiamente descritti dai tre interpreti principali. Elemento la cui necessità appare maggiormente ridondante in quanto contribuisce con i suoi molti interventi ad allungare irragionevolmente la durata dello spettacolo.
Questa operazione che pure ripropone fedelmente i tratti e le implicazioni dell’opera originale, culmina in un contro finale piuttosto opinabile: l’approdo di Otello sulla luna, in cerca non del proprio senno (chiaramente perduto nel momento dell’uccisione) ma dell’anima amata di Desdemona, qui su dispersa insieme a quella delle tante donne che sulla terra vengono trucidate dal genere maschile. Un omaggio all’Ariosto che suona come una forzatura nei confronti di un tema – la violenza sulla donna – che giocato in coda e in questi termini non sembra naturalmente appartenere all’operazione. Una nota stonata nel concerto ambizioso di una riscrittura contemporanea, segnata comunque da idee e arricchita da talenti.
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