traduzione Valentina Aicardi
con Valentina Aicardi, Francesca Cassottana, Elio D’Alessandro, Antonella Delli Gatti, Andrea Fazzari, Fabio Marchisio
regia Simone Schinocca; scenografia Sara Brigatti; costumi Agostino Porchietto; composizioni originali Elio D’alessandro; assistenza alla regia Claudia Cotza, Roberta Lanave; cura del movimento Valentina Renna; audio e luci Giuseppe Venuti
Tedacà in collaborazione con Teatro Libero di Palermo. Si ringrazia FTT – Fertili Terreni Teatro
In una villa di campagna, circondata da casupole con 14.000 maiali, sfilano i fantasmi di una famiglia di allevatori, simbolo di quella borghesia contadina, arricchitasi con un duro ed incessante lavoro, dove ogni personaggio si scopre depositario di pesanti ed ingombranti verità: dalla capofamiglia, la Madre, decisa un giorno nel porre fine alle sofferenze della sorella ridotta a poco più di un vegetale, al di lei figlio Vincent, rientrato a casa in compagnia della sua nuova fidanzata Docile con cui intende fuggire dal claustrofobico microcosmo famigliare. Ed ancora Cugino, ambigua personalità ora cinica ora grottesca, convinto ad ultimare il suo personale disegno di vendetta verso Vincent per la mai dimenticata eutanasia dalla zia nei confronti di sua madre. E se in apparenza atmosfera e contesto sembrano rispecchiare la normalità di persone dedite al lavoro ed all'amministrazione della casa, ben presto vengono a galla reciproche e mai sopite tensioni che avranno nella presenza di Docile, l’unica "cittadina” in una comunità di "contadini”, l’elemento acceleratore del finale destinato a rivelarsi drammatica catarsi collettiva.
Senza raggiungere l’intensità di suoi altri lavori, su tutti Il sentiero dei passi pericolosi di recente allestito dallo stesso ensemble di Tedacà, Bouchard confeziona un dramma famigliare a tinte forti popolato da personaggi dalla doppia identità: "fuori scena” ostinati ed indefessi lavoratori, "in scena” protagonisti di una tragicommedia umana che li porterà a risolvere i conti con l’ingombrante passato. Per fare tutto questo, il regista Simone Schinocca immagina un sipario rosso a metà palco, tendaggio dietro cui si può immaginare la vita reale, ma oltrepassato il quale si è attori, o forse fantasmi di sé stessi, nella rappresentazione delle proprie inquietudini e vendette, al tempo stesso prigionieri di un’atavica solitudine e noia.
Cento minuti filati con l’applaudito cast, su tutti citiamo Andrea Fazzari nei panni di un diabolico Cugino vero e proprio motore della vicenda, abile nel tessere la fitta trama di relazioni che porta il destino di ciascun personaggio ad intrecciarsi con quello degli altri, in una famiglia unico habitat dover poter vivere, e ingombrante prigione da cui non poter uscire: se la regia è da un lato puntuale nell'assecondare il ritmo di una scrittura coinvolgente, seppur a tratti un po’ troppo prolissa, dall'altro è non meno attenta nell'immaginare sequenze dal forte valore simbolico per la degenerazione di una famiglia-non più famiglia dagli equilibri sempre più fragili. E' così che Vincent, per partecipare a quella che sarà un'Ultima Cena, assumerà le fattezze di un Amleto prigioniero della sua corte magica poco prima di abbandonarsi ad un abbraccio di michelangiolesca memoria.
Per tutti, ci suggerisce Bouchard, non c’è salvezza, e neanche Dio sembra avere un occhio di riguardo per la disperata comunità prossima ad autodistruggersi offrendosi come carne da macello ad una miriade di ronzanti mosche pronte, alla stregua di avvoltoi in miniatura, a gettarsi sulle loro corrotte esistenze.
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