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Il verbum cinematografico pasoliniano secondo Condemi-Portoghese
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino venerdì 8 aprile 2022
Da Pier Paolo Pasolini 

Drammaturgia e montaggio dei testi Fabio Condemi, Gabriele Portoghese; regia Fabio Condemi; con Gabriele Portoghese 

Drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich; filmati Igor Renzetti, Fabio Condemi; foto di scena Claudia Pajewski 

Produzione Centro di Produzione Teatrale La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro Comunale Giuseppe Verdi – Pordenone, Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Cinema e teatro sono per definizione cugini di primo grado in una famiglia caratterizzata da rapporti non sempre idilliaci, linguaggi espressivi da più parti immaginati in antitesi talvolta capaci di fondersi in un unicum di assoluta suggestione: l’ennesima riprova la si ha assistendo a Questo è il tempo in cui attendo la grazia, assolo di un eccellente Gabriele Portoghese, guidato dal non meno ispirato Fabio Condemi, in quello che dichiaratamente non è tributo alla figura ed all’opera di Pier Paolo Pasolini, semmai excursus in un percorso attraverso alcune delle sue più celebri sceneggiature cinematografiche.

Non cinema, neanche teatro, neppure solo videoproiezione, l’esito finale del progetto dei due coraggiosi artisti, il cui si titolo si rifà al verso di una lirica pasoliniana, è un sentiero biografico dalla struttura circolare che, seguendo il biblico dettato "polvere sei e in polvere ritornerai", parte dalla nascita, attraversa adolescenza e maturità per poi risolversi nel tappeto di nuda terra ammucchiata ai lati di una scena praticamente spoglia con ciuffi d’erba, una sedia e un pallone da calcio: a questo minimalismo scenico corrisponde per sessanta minuti una rara intensità di parole, dette o evocate, e di immagini proiettate su di uno schermo bianco appeso sul fondale. Cammino biografico, si diceva, per un viaggio teatrale che inizia dagli occhi spalancati ed estatici del neonato durante il coito dei genitori nell’Edipo Re, si sviluppa passando per il Centauro che afferra il bambino per i piedi in Medea, e per le calde atmosfere de Il fiore delle Mille e una notte, da ultimo raggiunge l’età adulta con le note, rimaste sulla carta, della pellicola immaginata sulla figura di San Paolo. Ed ancora la trasvolata sulle degenerazioni urbane di Orte e Sabaudia, secondo Pasolini nel documentario La forma della città simbolo dell’asservimento alle insane logiche capitalistiche degli anni Settanta, per esaurirsi nel simbolico dialogo tra Franco Citti e Ninetto Davoli immaginato sull’idea che tutto abbia nascita e morte, ma anche nascita nella morte e morte nella nascita.

Esemplare intreccio tra scrittura letteraria e cinematografica, l’allestimento spiazza lo spettatore nel suo farsi perfetta sintesi di letteratura ed immagine, con Gabriele Portoghese mai sopra le righe nella narrazione delle varie tappe di cui si compone un resoconto anche condito da pillole di grottesca ironia: un intenso e misurato Virgilio in un viaggio la cui colonna sonora finale sarà il rumore della pellicola intenta a proiettare sulla sua camicia bianca gli ultimi fotogrammi tratti da Il Vangelo secondo Matteo, ideale epilogo prima dell’assordante silenzio interrotto da convinti e meritati applausi.
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