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Orphée et Eurydice: il movimento alle origini del dramma
a cura di Nicola Bionda
Visto al Teatro alla Scala l'11 marzo 2018
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018 
Orphée et Eurydice 
Azione teatrale per musica in tre atti 
Libretto di Pierre-Louis Moline da Ranieri de’ Calzabigi 
Musica di Christoph Willibald Gluck 

Orphée Juan Diego Flórez 
Euridice Christiane Karg  
L’Amour Fatma Said 

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala 
Compagnia di danza Hofesh Shechter Company 
Direttore Michele Mariotti 
Maestro del coro Bruno Casoni 

Regia Hofesh Shechter e John Fulljames 

Coreografia Hofesh Shechter 
Scene e costumi Conor Murphy 

Luci Lee Curran riprese da Andrea Giretti 

Produzione Royal Opera House, Covent Garden, London 

dal 24 febbraio al 17 marzo
Nel 1975 Pina Bausch aveva dato vita a un’imponente Orfeo ed Euridice, evidentemente modificato rispetto all’impianto di Gluck e Calzabigi (né deus ex machina né lieto fine) e destinato segnare profondamente ogni allestimento futuro. La trasformazione operata dall’Opéra Dansé ha qualcosa di totalmente nuovo, dove il ballo assume un'importanza primaria al pari di tutti gli altri elementi dell’opera, ha aperto a una prospettiva del tutto nuova dalla quale ora non si può più prescindere. Niente più della danza si presta a definire il carattere, intimo e rituale allo stesso tempo, del dramma di Gluck. La forza della gestualità confina l’azione in un ambiente che è definito totalmente dal coro, dalle Nife, dai Pastori, dagli Spettri e dalle Furie

Anche questa versione francese proposta al Teatro alla Scala per la prima volta, in una fortunata produzione del 2015 della Royal Opera House, Covent Garden di Londra, deve per forza di cose confrontarsi con quel precedente. Va riconosciuto il merito a questo allestimento di aver operato con coerenza e illuminazione, nella direzione di scelte particolarmente felici come quella di riportare letteralmente l’orchestra al centro dell’opera, alzando la buca all’altezza del palco (nell'Orfeo ed Euridice di Pina Bausch era il coro a scendere nella fossa orchestrale). Il coreografo israeliano Hofesh Shechter e il regista inglese John Fulljames le strutturano intorno un impianto semplice e potente, in cui i vari piani visivi e musicali si fondono armoniosamente. 

Il palcoscenico è sovrastato da grandi pannelli mobili che lasciano filtrare ora una luce divina ora una fitta selva di fuoco disegnata dalle luci di Lee Curran, (riprese da Andrea Giretti). Gli stessi pannelli intervengono a modificare con il loro movimenti sia la percezione dello spazio che la rifrazione della materia sonora. È forse la prima volta che un elemento prettamente scenografico svolge appieno il suo ruolo di costruzione totale dell’ambiente sia fisico che sonoro. Il ponte mobile sul quale è posizionata l’Orchestra, all’occasione, si alza o si abbassa come fosse il “cuore pulsante” dell’opera e del dramma. Si erge sopra la scena, nel primo atto, a delimitare il luogo della cremazione di Euridice e sprofonda, nel secondo atto, fino a diventare un lago di fuoco, un vero e proprio magma sonoro. Trasformando così i 72 strumentisti della Scala in una perfetta personificazione fisica dell’Ade.

La gestualità dei cantanti è ridotta al minimo a fare da contraltare ai movimenti dei danzatori della Hofesh Shechter Company nel tentativo di fondere, in maniera organica ma strutturata, musica, voce e movimento. I danzatori eseguono le coreografie con movimenti visivamente potenti, fluidi e scattanti pur senza avere quella sconvolgente forza evocativa della gestualità primordiale di Pina Bausch. È più una danza di contrapposti quella di Shechter. Un susseguirsi di Dionisiaco e di purezza, di tribale e di classico. Ninfe, Demoni e Furie si inseguono in un dramma che si fonda sugli archetipi profondi della ritualità e delle espressioni sociali e intime dell’elaborazione del lutto, in un continuo capovolgimento di piani espressivi. Dal canto alla danza e viceversa. 

Perfetti i costumi, (la sfida forse più insidiosa in un allestimento di questo tipo) firmati sempre dallo scenografo Murphy che non si lascia trascinare in banali trasposizioni temporali ma crea degli abiti senza tempo e allo stesso tempo perfettamente contemporanei. Quasi iconici, come il meraviglioso tailleur dorato (ed elegantemente scollato) indossato da Amour. Costumi giocati con contrapposizioni cromatiche semplicissime ma mai banali. Una semplicità visiva che amplifica al massimo la drammaticità dell’opera. Equilibratissima la direzione di Michele Mariotti, semplice, senza fronzoli e orpelli, indirizzata alla giusta valorizzazione del canto. Corpo di ballo e Coro vengono diretti in un unico flusso continuo, di un'onda umana continuamente sbalzata tra la voce e il gesto. Tra gli interpreti emerge prepotente Fatma Said, il soprano di origini egiziane è un Amour potente, seducente nella voce e nell’espressione. 

Alla fine del dramma l'orchestra si erge ancora sopra la scena, Euridice risorge dalle proprie ceneri tra i movimenti sinuosi delle Furie e i gesti impalpabili degli Spiriti beati. La luce, forse unico accenno simbolico, squarcia le tenebre dell’Ade e illumina gli interpreti fino agli applausi finali di un’operazione perfettamente riuscita. E noi abbiamo un profondo bisogno di operazioni come queste. Di allestimenti che fuggono da ogni scorciatoia di semplice spettacolarizzazione, di inutile e ingenua attualizzazione o di autoreferenziale pretesa simbolica (o psicologica), per scavare a fondo nell’essenza primordiale del dramma. Lavorando per sottrazioni, portando alla luce gli elementi fondanti dell’azione drammaturgica. Il canto, il gesto e lo spazio. Il testo e la musica.
  • @Bill Cooper
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