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LA GIOIA secondo Pippo Delbono
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino domenica 2 giugno 2019
scritto e diretto da Pippo Delbono

con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella e con la voce di Bobò

composizione floreale Thierry Boutemy; musiche Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano e autori vari; luci Orlando Bolognesi; elettricista Alejandro Zamora; suono Pietro Tirella; costumi Elena Giampaoli; capo macchinista e attrezzeria Gianluca Bolla 

Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione Teatro Nazionale, Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge - Scène Nationale
Ci sono spettacoli la cui forza scenica è la rappresentazione di un magma interiore, di un qualcosa che nasce dal di dentro per manifestarsi in tutta la sua disarmante vitalità: a questa ristretta categoria appartiene La gioia che Pippo Delbono realizza insieme alla sua compagnia in ottanta minuti filati di un esplosivo teatro intimo pronto a spaziare da atmosfere felliniane e beckettiane a momenti di pura poesia. 

Che cosa sia la gioia Delbono se lo chiede e ce lo chiede sin dall'inizio in cui, tra il serio ed il faceto, prima di presentare i suoi storici compagni di viaggio, rassicura lo spettatore sul fatto che non intende parlare della madre, leit motiven di molti dei suoi ultimi suoi lavori: scoperte le carte, l’attore e regista ligure prende per mano lo spettatore iniziando con lui un viaggio nella memoria che, da subito, si intuisce esser sofferto espediente per elaborare il recente lutto della scomparsa di Bobò, l’amico di una vita, strappato al manicomio di Aversa, per più di vent'anni insostituibile sodale di un irripetibile percorso artistico. 
Se in scena non c’è più la sua traballante fisicità, Bobò rivive nell'inconfondibile voce-non voce, come sulla panchina dove era solito festeggiare il suo compleanno, proprio lui "che non possedeva il tempo e che quindi poteva festeggiare ogni giorno”: e così, in un ideale continuum, a Bobò subentra Pippo, artista e uomo di umanissima fragilità che dall'improvvisato scranno mescola a melanconiche riflessioni sulle casualità della vita la forza visiva di una milonga rallentata o di un balletto stroboscopico, per arrivare alla raffigurazione degli "ultimi" immaginati in cumuli di stracci gettati alla rinfusa, leggasi alla deriva, sul palco spoglio. Il tutto prima di un finale colorato con cascate di fiori per lenire un dolore incancellabile, a voler regalare pillole di una gioia passeggera, di cui si è forse in eterna attesa, o semplicemente idea astratta con cui ogni giorno necessariamente convivere.
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