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La fiera della non umanità nello ZIO VANJA  di Leonardo Lidi
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Carignano di Torino martedì 21 novembre 2023 
di Anton Čechov 

con Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna 

regia Leonardo Lidi; scene e luci Nicolas Bovey;  costumi Aurora Damanti; suono Franco Visioli 

Teatro Stabile dell’Umbria / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Spoleto Festival dei Due Mondi
Quanta vita per assurdo c’è nel teatro di Anton Cechov, scrittore, drammaturgo, ma anche e soprattutto medico, come pochi capace di scandagliare e vivisezionare l’animo umano: a questa particolare lettura, applicabile a tutta la produzione narrativa come al teatro, non si sottrae neanche lo Zio Vanja che Leonardo Lidi realizza proseguendo nel suo percorso di riscoperta del teatro cechoviano.

E cosi la villa di famiglia in cui si consuma la vita-non vita di uomini e donne, del tutto passivi allo scorrere di un tempo vissuto nell’ottica di perenne passato, diventa nell’allestimento scenico di Nicolas Bovey una parete lignea con cassapanca su cui i personaggi stancamente conversano, si amano e si detestano, in tre parole "si fanno vivere" avendo quale unico sfogo lo spazio antistante che ben si guardano dall’occupare o percorrere: è la staticità, dei movimenti come degli stati d’animo, la linea guida della rilettura di Lidi, dolente esplorazione dell’universo familiare, e delle sue zone d’ombra, che già con Zoo di vetro, La casa di Bernarda Alba e La signorina Giulia il regista piacentino aveva realizzato, senza peraltro limitarsi al ritratto di un’istantanea per quanto minuziosa. E se lo spazio si riduce all’occupazione del proscenio, non meno importante in questo lavoro è la componente cromatica di fogge e costumi cui la sempre brava Aurora Damanti dedica cura ed attenzione: se alle donne, infatti, sono riservati importanti capigliature ed abiti colorati che spaziano dal verde speranza di Elena Andreevna all’azzurro purezza di Sonja, passando per il rosa dell'anziana balia Marina, per i personaggi maschili si ricorre a colori che non discostano da marrone e giallo, tonalità a richiamare quell’autunno unica stagione della loro vita: tanto Vanja, quanto il medico Astrov o il corpulento Telegin, sono infatti accomunati da un profondo disorientamento esistenziale che va di pari passo con il disperato tentativo di un affrancamento sociale perseguito per una vita intera.

Lavoro sullo spazio e sui costumi, come da consolidata prassi nel teatro di Lidi, che non può non accompagnarsi ad una forte, ma non manicale, attenzione al lavoro dell’attore risolta in una prova collettiva di assoluta intensità, sintesi di un’arte interpretativa che l’intero cast traduce alla perfezione: a partire dal Vanja di Massimiliano Speziani, maschera di dolente umanità dal verboso incedere capace di conquistare negli improvvisati approcci verso Elena quanto di divertire nei panni di terzo incomodo nella scena tra Astrov e la stessa donna. Ed ancora la goffa disperazione con cui accompagna i colpi a vuoto sparati nel tentativo di liberarsi del detestato Serebrjakov cui ha dedicato una vita intera di sacrifici e privazioni.
Insieme a Speziani dividono il meritato successo finale l’Astrov di Mario Pirrello ora sguaiato e sprezzante, ora apatico e indolente, animato da un eterno "vorrei ma non ho voglia" di abitare quel mondo di illusioni che Lidi sceglie di ritrarre nella forma di disegni infantili per illustrare le tante amate mappe con cui il medico cerca di sedurre Elena rifacendosi ad un ecologismo ante-litteram: e se Ilaria Falini ben incarna la condizione di Elena donna borghese annoiata e disillusa, Giuliana Vigogna è la Sonja dalla fragile emotività, sempre un passo indietro per timore e timidezza, cui fa contraltare il cinismo della balia Marina che Francesca Mazza rende come maschera fissa ed inespressiva in un volto incastonato da bigodini con tanto di sigaretta in bocca.

Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Angela Malfitano e Tino Rossi completano il quadro d’insieme di un’umanità capace all’improvviso di accendersi in slanci di rabbia e furore, salvo poi subito ripiegare nell’atavica apatia di una vita non vissuta, di un tempo non percepito, che una volta congedati Serebrjakov ed Elena non lascia altro se non l’amara consapevolezza che tutto proseguirà come è sempre stato: ed il "riposeremo" alla fine più volte ripetuto da una Sonja in lacrime ricorda a tutti, spettatori in primis, come la vita non vada mai sprecata, pena l’uscirne sconfitti e schiacciati dagli stessi fantasmi che la popolano.
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