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Facciamo due chiacchiere da Fringe.....
a cura di Roberto Canavesi
Buttando un occhio tra le numerose proposte del Torino Fringe Festival, edizione 2023, ci siamo imbattuti in un trittico di spettacoli tra di loro molto diversi per struttura e contenuti: il nostro viaggio festivaliero è iniziato a San Pietro in Vincoli con Via Senzamore 23, testo di Gianni Solla, diretto da Giuseppe Miale Di Mauro per Nest – Napoli Est Teatro, con Giuseppe Gaudino nei panni di un maniacale impiegato del catasto napoletano. Attore solo nella recita di un’anonima esistenza alimentata da gesti ripetuti e monotoni, "travet" in salsa partenopea, Gaetano si divide tra mappe, fogli catastali e una gamma di ricordi e speranze per il futuro che, sa benissimo, non potrà che essere uguale a passato e presente: a far saltare il banco sarà l’arrivo di una donna, primo amore di una gioventù ormai lontana dopo alcuni decenni rientrata con prepotenza nella sua vita con un inaspettato carico di (dis)illusioni e scomode verità.
Rinato a vita nuova, per il protagonista inizia un grottesco viaggio in quella solitudine che ogni giorno cercherà di combattere appigliandosi a un’inaspettata energia, la forza del ricordo e di un amore mai cancellato, che forse lo aiuterà, il finale aperto si presta a differenti letture, a convivere da una prospettiva nuova con l’asfissiante presente. La scena restituisce un Giuseppe Gaudino in grande spolvero, perfetto interprete di un’umanità grottesca, mai caricaturale, fissata in istantanee di grande umanità, racconto di una Napoli da cartolina e di un amore mai dimenticato ancora in grado, a distanza di tempo, di rimescolare le carte di un vita intera.

Spostandoci al Vinile in pieno quartiere Vanchiglia ci siamo tuffati del politicamente scorretto di Va’ Gina! proposto da Luisa Bigiarini e Federica D’Angelo in un’ora scarsa di colloquio con un pubblico divertito e solleticato dalla sfrontatezza delle due interpreti: partendo dall’idea di indagare significato e ruolo della donna nella società moderna, Luisa e Federica giocano con gli stereotipi classici della condizione femminile in un viaggio nel tempo che parte dai luoghi comuni dell’adolescenza per arrivare a quell’età adulta sempre al centro dell’attenzione. E se l’originario scopo delle Gine è illustrare il decalogo per diventare "donna perfetta", le due attrici si trovano a riflettere su cura e manutenzione del proprio corpo come sul sesso, sulla tattica da seguire al primo appuntamento per arrivare al racconto della quotidianità segnata dal quasi indicibile ciclo mestruale: il tutto è riferito con toni comici e grotteschi, sempre guidati dallo svelamento di quell’idea di patriarcato mai come in questo caso letteralmente smontato come un giocattolo e messo comicamente alla berlina nei suoi più elementari ingranaggi.

I sotterranei ambienti dello Spazio Ferramenta hanno invece ospitato il debutto nazionale di O Gesù d’amore acceso, produzione Santibriganti Teatro diretta da Maurizio Bàbuin su testo di Valentina Diana con l’applaudito Toni Mazzara nei panni di un prete pedofilo alle prese con il processo alla sua coscienza: secondo tassello di una trilogia sull’indagine del male perpetrato dalla figura maschile, con tutti i testi firmati dalla drammaturga torinese, il monologo è l’inquietante confessione di un sacerdote prossimo al rientro in quella comunità da cui era stato allontanato ufficialmente "per motivi d studio", in realtà per una serie di indicibili violenze su adolescenti poco più che bambini. Il forzato quanto grottesco tentativo di autoperdono procede di pari passo con la narrazione di avvenimenti ed emozioni vissuti in un lontano passato, tragici fatti di cui ora il sacerdote cerca una forzata quanto impossibile giustificazione: e se nel refrain del titolo, incipit di una preghiera fatta recitare ai più piccoli dopo aver impartito la confessione, è possibile scorgere il tentativo di ridimensionare la memoria di quanto acceduto, alla prova della scena lo spettatore è travolto dal fluire di parole, cerchi concentrici di una scrittura che parte molto alla larga, per farsi con il passare dei minuti sempre più stringente, risultando strumento di narrazione quanto di inevitabile riflessione.
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